Cronache tragicomiche italiche: i medici di base in mezzo al “campo di battaglia” del test diagnostico rapido per Covid 19

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iena marco benanti

Chi “tira la carretta” in Italia? Sempre gli stessi o quasi. In particolare, nei momenti di crisi o di difficoltà generali, sulle spalle dei “soliti noti” si scaricano responsabilità assortite e stress incipienti. Come nel caso dell’ultima “emergenza Covid”: a pensare a tutto o quasi sono chiamati i medici di base. Prima di tutto: il test diagnostico rapido per Covid 19.

Ma come stanno davvero le cose? Prima domanda (delle cento pistole?): è obbligatorio. No, no. Non è previsto da alcuna legge. E’ affidabile, è credibile un esame del genere? I dubbi non sono pochi.

Seconda domanda: i medici di base sono attrezzati per questo gravoso incarico? No, no. No hanno i mezzi necessari.

Terza domanda: i medici di base sono già oberati di lavoro? Si e da tempo. Sono presi da mille richieste ogni giorno. In particolare, devono affrontare l’ansia e lo stress delle famiglie.

Ergo? Ergo ora dovranno sostenere l’impatto pesantissimo di un test non obbligatorio. Ma dovranno fare tutto loro o quasi. A cominciare da oggi 24 agosto. L’impegno di tanti professionisti, come il dott. Gaetano Privitera, è encomiabile. Da loro sono arrivati contributi in termini di idee e di riscontri ad una situazione difficile. Contributi che in parte riprendiamo in questo articolo.

Queste difficoltà non vengono colte appieno dai cittadini, essendo i contatti diretti medico/paziente molto diradati rispetto all’epoca pre-covid, trasferiti, almeno per i casi meno urgenti, su altri canali ed altre modalità (email, cellulare, messaggistica telefonica…). Questo non significa lavorare meno: si ricevono giornalmente decine, se non centinaia di richieste da ogni fonte immaginabile.

Quello dei medici di famiglia, assieme ad alcuni centri ospedalieri in prima linea, è un settore che negli ultimi mesi, anche i più critici, non ha chiuso un solo giorno. Spesso i medici hanno garantito risposte anche di sabato e domenica, penalizzando il proprio legittimo ristoro settimanale.

Nonostante questa premessa, il sistema ha continuato a partorire, giorno dopo giorno, nuove leggi, norme, cavilli burocratici dietro ai quali i medici di famiglia hanno dovuto affannarsi penosamente. Si è spaziato dalle inedite e fantasiose certificazioni INAIL, alle cervellotiche segnalazioni a recapiti telefonici desolatamente muti, ad altre diavolerie che hanno reso più angosciante, se mai fosse stato possibile, un periodo già drammatico di per sé.

Dulcis in fundo, ma siamo certi che non sarà l’ultimo coniglio dal cilindro dei nostri burocrati, il progetto di far effettuare questi test da parte dei “soliti” medici di famiglia. Il tutto organizzato male e frettolosamente.

Nessuno ha interpellato i medici. Neanche, colpevolmente, le sigle sindacali di categoria.

Mancano tempo e condizioni per agire in sicurezza per pazienti e medici stessi. Non possono essere garantiti iter procedurali adeguati relativi ad accessi e sanificazioni, con il rischio di causare più danni che benefici.

Finale? L’esecuzione del test, con tutte le perplessità finora espresse, è una mansione infermieristica che il dipartimento di salute pubblica può organizzare agevolmente nell’ambito dei propri servizi, senza gravare colpevolmente su un comparto che è già in crisi asfittica da mesi, come solo sa chi ci lavora.

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Benanti

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