di marco pitrella (con il concorso morale di Marco Benanti)
A vederli, quelli del “Gay Pride”, mi ricordano le zitelle isteriche, più colorate che attempate, che lamentano l’obsoleta puttanata del quanto sia difficile per le femmine accedere, fare, dire e stare sulla Terra e la predica dell’immutabilità sulla cultura dell’aborto (leggere Pasolini a riguardo).
Pride sta per orgoglio. E l’orgoglio, la più grande delle virtù, dovrebbe essere, per definizione, di un silenzio tale da non dar soddisfazione. E quello gggay, di Pride, coi tambureggianti “sindacati omo”, il drappo arcobaleno, i ridicoli i profili facebook, e qualche sculettata di chi c’ha la sorpresa, più che fiera manifestazione del “diverso da chi?”, pare la parata dell’ovvio e della noia.
Chi, come me, è di formazione riformista (di sinistra) e quindi liberale non può (o non potrebbe) negare che l’amore, tra persone dello stesso sesso, vada codificato rendendolo anche un diritto, il diritto alle “unioni civili”. In fondo che l’amore vinca ci spero sempre.
Nel dibattito italiano, col “vizietto” d’importare tutto e il contrario di tutto, non potevano mancare riferimenti all’erba degli Stati che, essendo la più verde, ha effetti stupefacenti. “Gli altri ce le hanno” le unioni. Chi cerca & trova il progresso nella tradizione, quella “fondata sull’amore” – che poi, l’amore, c’è pure tra fratello e sorella – non può, però, chiamarla famiglia; quella è di mamma & papà e dei figli concepiti dal piacere senza peccato.
Ma sancire come “sacro & santo” il diritto all’autodeterminazione – che con amore a dire il vero, stona un po’ – nulla ha a che fare con estendere gli annessi & connessi del “matrimonio secolare”.
Nella cattolicissima Irlanda ha vinto il referendum del cuore, un cuore che in Italia ragioni non conosce… basti pensare alla solidarietà della sinistra (etero) lesta ad accusar d’omofobia (persino di fascismo!) il milionazzo di sentinelle in piedi (che apprezzo), più che milizie nere avanzi d’oratorio mi paiono.
Il frutto dell’ annichilimento generazionale è il “tutti froci con il culo degli altri”. Poi l’inconsistenza della classe dirigente; senza una “fede” non c’è appartenenza né vergogna.
(Come si può affidare al bassissimo Ivan Scalfarotto la normativa sui diritti civili?)
E’ nell’andare oltre che “casca lo scecco”, sull’onta “gender” che dell’ “orgoglio gay” è parte integrante, purtroppo.
E’ la teoria gender ad essere ideologica (e pericolosa) vantando l’ambizione di “ri-concepire” l’uomo da capo a coda. Il sesso è parte biologica dell’individuo, mentre il genere è socialmente costruito, dice; uno stereotipo che va risolto, quando discriminante, in desideri, inclinazioni e quindi volontà. E sì, sostituiamo il rosa e il blu del grembiulino dell’asilo con un colore neutro, grigio magari. E che le bimbe si abituino a pisciare in piedi già che ci siamo.
(Il voler bene al prossimo è altra cosa, “buona e giusta”.)
Nella spinta a riconoscere l’adozione a coppie dello stesso sesso – genitore 1 & genitore 2 – la condanna legale – e non per disgrazia – all’adottato di crescere senza una madre o un padre. E non convince l’eco del pensiero unico che, nelle sue punte più basse, grida “togliamoli dagli orfanotrofi!” fosse solo per gli orfanotrofi con una bella allattata sarebbero più accoglienti.
La mercificazione dell’utero in affitto, tanto per gli “omo” quanto per gli etero, un capriccio del costi quel che costi. La scienza e la tecnica che d’ausili diventano padroni simboleggiano quanto gli uomini siano tanto deboli da rasentare la follia.
Nel cliché del politicamente corretto l’invito ad una riflessione laica vuol essere il mio.
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