Dal conte di Cavour al Conte di Volturara: Europa e Italia, nazioni o contee?


Pubblicato il 03 Settembre 2018

Nel rispetto delle proporzioni (Cavour 5495 abitanti, Volturara Apula 403; talento politico straordinariamente audace il primo, uomo di dottrina il secondo), un conte irrompe sulle sorti dell’Italia e dell’Europa.

Alla metà dell’Ottocento, il primo giocò abilmente la partita politica, beffando le due nazioni, Francia e Inghilterra favorevoli all’unità d’Italia immaginandola come un loro protettorato, di chi si sarebbe visto in seguito. L’Italia quindi nacque, ma il disegno delle due autorevoli cancellerie non andò a segno.
Veniamo all’oggi. È la seconda volta in un quarto di secolo che gli italiani che vanno a votare mettono al’angolo i poteri forti, questo proteico leviatano che ha nella persona che occupa pro-tempore il Quirinale l’estremo baluardo: nel ’94 Oscar Luigi Scalfaro, oggi Sergio Mattarella.
Il primo governo Berlusconi perseguiva un disegno intelligente, ancor quando non dichiarato, attraverso il ministro degli Esteri Antonio Martino, figlio d’arte: stabilire un “asse” con quella straordinaria piazza finanziaria che fu Londra (oggi non sappiamo), intersecando l’asse Parigi/Bonn (oggi Berlino), per riportare l’Italia al ruolo di protagonista in Europa che le spetta. I poteri forti, complici i disegni di Giovanni Agnelli che puntava con forza ai finanziamenti a favore dell’Est europeo, si attivarono per fermare Berlusconi, e fu Caserta. Se si fosse proseguito sulla strada di quel governo forse oggi non ci sarebbe stata la brexit.
Dopo Caserta, giocando sulla voluttuosa passione di Berlusconi per l’insiemistica, i poteri forti riportarono il nuovo governo italiano sotto la loro sfera di influenza; la fantastica, sorprendente, per loro insopportabile, realizzazione di un partito liberale di massa fu soffocata. Le liste berlusconiane successive ospitarono democristiani e socialisti in quantità. Ma Berlusconi è un businessman, non un conte.
Va detto pure che i poteri forti, avvertiti nelle precedenti elezioni quando il M5S raccolse una messe di voti inaspettata, non se ne diedero per intesi. Spocchia? il deficit qualitativo della classe dirigente mondiale, politica e manageriale, investe anche loro? o ritengono poter piegare, prima o poi, il governo italiano a sé?
In effetti, dal secondo governo Berlusconi in avanti, sino agli abusi di Napolitano, le lobbies giudiziarie e finanziarie hanno mostrato una notevole capacità di recupero.
Oggi, il Paese è notevolmente cambiato (e stremato): non vedo come il leviatano possa trovare e prendere il bandolo della matassa. Il soave, suadente invito dello slow dangerous Gentiloni a non interrompere i percorsi avviati dai precedenti governi, rivolto a un esecutivo che si dichiara del cambiamento, è risibile in sé, anche se suona un po’ come minaccia, come avvertimento mafioso: un flatus vocis che molto dice del modo d’essere del PD e della sua arroganza, alla ricerca di un riposizionamento prestigioso comunque, nonostante il drastico ridimensionamento subito nelle urne.
Il governo del cambiamento è sostenuto da una larga maggioranza raggiunta con proposte e programmi elettorali che sono piaciuti agli italiani che vanno a votare. Il Conte odierno è stato chiamato a guidare il governo italiano, sostenuto da una maggioranza parlamentare ampia, eterogenea, il cui denominatore comune è l’avversione e il contrasto ai poteri forti.
Insomma, dalla dissoluzione dell’Impero Romano, a mettere le cose a posto a casa nostra c’è sempre voluto un conte: dal gran conte Ruggero d’Altavilla che riportò la Sicilia nell’alveo cristiano (quindi europeo e occidentale), al conte di Cavour, al prof. Giuseppe Conte che, magari digiuno di politica, ha dottrina. Guardiamo che succede: non presupponiamo, non sottovalutiamo.


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