David Grossman ed Emmanuel Carrère a Taobuk, tra visioni di pace e profondità d’anima

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GianMaria Tesei.

Due pilastri del panorama letterario internazionale sono stati tra i più acclamati ospiti dell’edizione di quest’anno del Taobuk, tributati doverosamente dei Taobuk Award for Literary Excellence, ossia David Grossman ed Emmanuel Carrère (che hanno ricevuto il medesimo premio attribuito al Premio Nobel per la letteratura 2018 Olga Nawoja Tokarczuk).

La loro presenza alla manifestazione, condotta ed orchestrata da Antonella Ferrar, si è svolta tra incontri e la partecipazione al gala finale, evento avvenuto come di consueto al Teatro Antico, con le loro visioni della letteratura, del mondo e della vita che si sono dischiuse decise, chiare ed autorevoli.

David Grossman, scrittore di Gerusalemme, impegnato nell’affermazione della cultura del confronto e della pace, cimento per cui è inviso ai politici che spingono verso un’eccesiva intransigenza che spesso degenera in spropositata durezza nei rapporti con i palestinesi della striscia di Gaza e della Cisgiordania, ha inondato della sua profondità intellettuale l’uditorio taorminese.

Prendendo le mosse dal tema della “Metamorfosi” che ha venato tutta la kermesse culturale, ha citato il Libro di Isaia (2:3-4) del Vecchio Testamento, in cui il profeta ebreo vaticinava la trasformazione delle armi in strumenti di lavoro agricolo e la pace tra tutti i popoli. Lo scrittore israeliano ha spiegato come Isaia abbia avuto coraggio a preconizzare un mondo che, pur essendo sempre corrotto da insensate azioni belliche, diviene dimentico della guerra e si converte alla pace. Pace che lo stesso Grossman dice di non avere mai avvertito neanche un giorno della sua vita, vivendo in una porzione di globo da troppo tempo costernata da battaglie costanti.

L’autore israeliano di opere di narrativa, libri per bambini e saggi tradotti ed apprezzati ovunque, cha aggiunto come la pace non sia solo il compimento o la definizione di confini che accontentino, prima o poi, tutti (o molti), ma sia una differente concezione del futuro, privato della paura esistenziale. E per questo attraverso la scrittura, il creatore di “Qualcuno con cui correre”, vuole proporre concretamente l’anelito alla vita che vivremmo se fosse, per tutti, benedetta dalla pace.

Traditore, ha aggiunto Grossman, viene purtroppo considerato in Israele chi si fa foriero dei messaggi di pace quasi si opponesse ad un, in realtà malsano, istinto belligerante che viene confuso con un senso naturale di permanenza in vita.

La metamorfosi avviene anche tramite un libro od una serie di testi e di letture, ha asserito lo scrittore israelita, svelando come la sua inclinazione potente alla scrittura debba addebitarsi allo scoprire le opere di Sholem Aleichem , grazie al padre che aveva vissuto in uno Shtetl (ossia una comunità molto concentrata di religione ebraica) in Galizia che gli regalò una di esse all’età di nove anni. Sholem Aleichem era un autore che sosteneva e promulgava libri in yiddish, nonché il primo a realizzare testi per bambini in questa lingua germanica occidentale utilizzata dagli ebrei di alcune zone dell’Europa orientale e per il giovanissimo Grossman fu un’autentica epifania, anche nell’uso di una lingua totalmente differente da quella parlata sul suolo israeliano, schiudendo universi differenti che gli hanno fatto comprendere come la vita e la perdita possano coesistere, così come la vita ed il vuoto totale.

Sul tema della Shoah Grossman ha sottolineato come le tante atrocità compiute durante la seconda guerra mondiale siano figlie di un procedimento di mutazione negativa da uomo a nazista, un processo sul quale ha indagato in uno dei suoi romanzi più noti, ossia “Vedi alla voce: amore”, del 1986, nelle cui oltre seicento pagine lo scrittore ha dato luogo ad una ammirata redazione che è stata poi soggetta ad adattamenti teatrali.

Molto interessante anche il contributo dato da Emmanuel Carrère, artista capace di spaziare dal romanzo alla fiction con estrema naturalezza, all’insegna di una versatilità che egli ha definito come l’attitudine e l’abilità di fare tesoro delle proprie esperienze, riesumandole nei momenti differenti della vita per agire in modo diverso senza perdere però la propria identità e rimanendo fedeli al proprio pensiero. Un pensiero che però nello scrittore, quando decide di realizzare un libro, può saggiamente conformarsi alle esperienze che si vivono nel corso della vita senza essere rigidamente monolitico, ma mutando proprio perché intriso del proprio percorso personale in divenire.

Per cui quando aveva intenzione di scrivere il suo libro “Yoga”, Carrère moveva dalla volontà di trattare il sistema di attività, prassi, dottrine ed ammaestramenti fisici, mentali e spirituali legati al tema ed al titolo del suo libro, mentre la depressione che deflagrò in lui, a partire da quel periodo (con forti istinti di suicidio per cui si cura tutt’ora con la TEC e gocce quotidiane di litio), lo indusse poi a vergare un testo in cui trasfuse tutta la sua angariante e gravosa situazione personale.

L’autore parigino ha, a riguardo, asserito come vi siano due categorie di scrittori: vi è quella di coloro che determinano prima ogni aspetto del libro che scriveranno e che lo porteranno a compimento quindi seguendo esattamente quanto si sono proposti in fase ideativa. Ed esiste anche la categoria di autori d’arte scritta che lasciano che il testo, pur originato da un’idea particolare, si contamini del vissuto dell’autore nel corso dello sviluppo dello stesso scritto, come accade allo stesso scrittore francese, che si rifà ad un proverbio yiddish secondo il quale “Se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti per domattina”.

Per quanto attiene alla politica del capo del governo del suo paese Carrère ha affermato come Macron sia partito da buoni propositi ma non li abbia ancora raggiunti, pur essendo un uomo brillante mentre, riferendosi al “politicamente corretto”, per un autore come lui, contraddistinto da una scrittura onesta e crudele, anche verso sé stesso, appare come una minaccia a cui siamo tutti esposti.

A colpire lo sceneggiatore e regista francese, tra gli scrittori italiani, è Luigi Pirandello ma anche e soprattutto Leonardo Sciascia di cui ha letto molto (“Todo modo”, “Il contesto”, etc. …) tra gli anni’70 ed ’80, rileggendo tutt’ora le opere dello scrittore di Racalmuto, con dei libri che hanno “la potenza di una lingua purissima, semplicissima, limpidissima, facile da capire anche da uno straniero, pur dando le vertigini per la profondità inaudita che li contraddistingue”, generando una letteratura dove si intrecciano una dimensione politica ed un aspetto fantastico, grazie all’intelligenza estremamente acuta di Sciascia che sa addentrarsi anche in zone ascose del mondo e dell’animo umano.

Qualità che caratterizza anche questi straordinari autori d’arte letteraria che hanno regalato picchi d’elevata cultura in una kermesse di grande livello.

 

 

 

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