Di troppa politica si muore. La destra, le pesche, l’elettrico


Pubblicato il 10 Ottobre 2023

La compagine di governo si è impelagata, tramite due suoi eminenti esponenti, in altrettante vicende che potevano essere trattate con più tatto, o addirittura, in uno di questi, non farne motivo di discussione politica.

La prima vicenda è quella inerente lo spot pubblicitario della nota catena di negozi alimentari: una bambina compra una pesca, mentre fa la spesa con la madre, da regalare al padre – «te la manda mamma» dice al papà, il quale è consapevole della reale provenienza del dono. Su queste immagini, che nulla in più ci offrono che il proposito di rendere importante ogni spesa effettuata nei negozi del marchio, la Presidente del Consiglio si è espressa dicendo di trovarle commoventi. Da quel momento, la politica ne ha discusso, ne hanno discusso gli psicologi, i filosofi e i sempre presenti giornalisti, che hanno una opinione su tutti i fatti, mentre i fatti cominciano a scarseggiare nelle discussioni pubbliche. Anche in questo caso il fatto è semplice: ci troviamo davanti ad una pubblicità, il cui unico scopo è quello di far parlare di sé per far parlare di ciò a cui indirizza gusti e abitudini.

Quando si discute, bisogna sempre riconoscere sincerità al nostro interlocutore, ma in questo caso non la si nega a nessuno, se non si prende sul serio qualsiasi messaggio lo spot voglia trasmetterci (ed è dubbio che a qualche pubblicitario sia venuta la voglia di battaglie antidivorziste), perché sappiamo che si tratta di un fine commerciale quello che persegue: una donna desnuda o una bambina tenera hanno il medesimo scopo – che non passino inosservati. Cosa che è accaduta. Ma su queste basi si può fare discussione etica? C’è qualcuno che pensi si possa discutere dei problemi inerenti la separazione di due persone partendo da fini commerciali di uno spot pubblicitario? in Italia sembra sì, e la Presidente del Consiglio non si è fatta mancare l’occasione di richiamarsi a ben più poetiche e valoriali battaglie di quelle, prosaiche, sui conti pubblici. Grazie anche alla miopia della sinistra, il dolore della separazione è preso in carico solo dalla destra, come se a sinistra fosse più facile accettare la fine di un’unione, si presume, voluta e desiderata. Ma poi – questo è il vero problema – possiamo fare di ogni tema una discussione politica?

Oltre alle parole della Presidente, ci sono gli antefatti: Bernardo Caprotti, fondatore del marchio Esselunga, la catena della grande distribuzione committente lo spot in questione, nel 2007 pubblicò un libro dal titolo emblematico, Falce e carrello, in merito alla sua lotta commerciale con contro la Lega delle Cooperative, cioè Coop e Conad: la sfida tra la piccola borghesia brianzola e i colossi della spesa vicini al Partito Comunista Italiano. Nell’Italia delle poche idee e delle tante dicotomie è bastato questo per far dimenticare gli iniziali rapporti tra Caprotti e i Rockefeller, per fortuna avvenuti in un’epoca a noi assai lontana. Fosse avvenuto oggi, Caprotti sarebbe stato accusato di iniettare vaccini tramite le mozzarelle di bufala.

L’altra vicenda, che verte su eventi assai più dolorosi, e di un dolore vero, è nata dalle parole pronunciate dal Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, nonché leader -quando qualcosa è troppo evocativa, la si esorcizza rendendola incomprensibile ai più, così il vecchio Capo, Duce, viene anglofonizzato – del partito della Lega, a commento del tragico incidente di Mestre, nel quale hanno perso la vita ventuno passeggeri di un bus, caduto da un cavalcavia. Il fatto in sé sarà chiarito nei prossimi mesi dagli inquirenti, e per ora chi non sa dovrebbe far tacere le supposizione ed esprime solo cordoglio. Tuttavia, il ministro si è espresso attribuendo la responsabilità dei tanti morti non già ad un guardrail malmesso -finora nessuno può escluderlo o confermarlo- bensì al fatto che l’autobus fosse elettrico, e «[qualcuno gli ha detto] che le batterie elettriche prendono fuoco più facilmente di altre forme di alimentazione e in un momento in cui si dice che tutto deve essere elettrico uno spunto di riflessione è il caso di farlo». Difficile pensare che, dopo un volo di quindici metri, qualsiasi altro mezzo non avesse preso fuoco, e tuttavia facciamola qualche riflessione preliminare.

È ormai chiaro che dall’iniziale atipicità, la Lega si sia spostando verso la destra radicale – tra le tante prove a sostegno, anche la propria appartenenza al gruppo europeo delle Nazioni e delle libertà, non proprio un semplice gruppo conservatore. Ma lo testimoniano anche i toni su alcune vicende come la guerra in Ucraina, le frequentazioni internazionali, gli attacchi all’Europa, all’Occidente – quasi un’oicofobia di destra – e la questione dell’elettrico potrebbe essere una cartina di tornasole. Forse, dietro questa avversione c’è solo una lusinga alle chiacchiere da bar contro le auto elettriche, sperando diventino voti; oppure i mugugni di certa industria non al passo coi tempi. Potrebbe essere, però, il richiamo al tema della tecnica, cavallo di battaglia di tanti pensatori che in essa vedono l’anima della modernità, da versare come l’egualitarismo di cui essa si fa bandiera.

C’è una maturità politica che si raggiunge, quando appare chiaro che non è assicurata l’appartenenza alla categoria del superuomo di cui parla Nietzsche. Cosa sarebbero stati molti dei fautori dell’aristocrazia guerriera telematica, di cui si nutre certa destra illiberale, in un’epoca di distinzioni belliche e non già elettorali, non lo sapremo mai. Sappiamo cosa siamo oggi, in un’epoca nella quale, pur con tutte le disuguaglianze, è data una possibilità oltre alla brutale forza fisica.

Entrambe le vicende sono figlie della crisi delle idee, seguita al crollo politico della prima Repubblica. Allora buttammo l’acqua sporca delle ideologie con il bambino delle idee e dei valori. Pensavamo che saremmo divenuti più liberi, anche più onesti intellettualmente senza quel filtro (spesso colorito, sempre monotono) con cui guardare alla realtà. Invece, abbiamo creato un miscuglio che, come l’immediata unità di una ideologia, è indistinto e non dà conto delle necessarie distinzioni.

Una volta si era di destra, perché si credeva nella distinzione, quale che fosse il carattere di questa. E siccome il punto di partenza, il nome di un sano realismo, era l’individuo, la pluralità di individui dava vita ad una realtà composita, sempre sfuggente nella sua totalità perfino per gli studiosi, figurarsi per coloro che la fanno e, facendola, la vivono. Dunque, molti attori e, tra l’altro, per ogni azione molte motivazioni. La politica era considerata solo un aspetto della vita e il resto meritava altrettanto rispetto. Certo, questo principio andava scemando man mano che si procedeva verso l’estremo – il fascismo non fa salve le distinzioni tra le sfere di azione dell’individuo, e il tentativo è sempre quello di ridurre tutto alla politica, ma la sicurezza di questa affermazione non era così solida dopo che la Storia aveva tradito, e l’uomo nuovo fascista era stato abortito in appena un ventennio.

A sinistra le cose andavano diversamente. Ridotta alla parte marxista-leninista, quella più rappresentativa nel secondo dopoguerra italiano, essa affermava che l’uomo se non determinato, è almeno ampiamente condizionato dalla realtà storica, che è sempre più della somma delle parti che la compongono. Chi è prodotto, o quantomeno pesantemente influenzato dalla realtà, non può che trovare nell’agire politico salvaguardia e addirittura redenzione. Non c’è trascendenza, solo agire storico dettato da motivazioni storiche. Il pensiero di Marx, quello di Gramsci divennero cliché, e un pensiero complesso, quando diventa moda, perde l’anima e la propria complessità. Da allora non c’è tema che non sia di natura politica e non si presti a discussioni politiche: le pesca, le tragedie – tutto. Su tutto si deve combattere, su tutto dire la propria, perché non c’è tema che sfugga alla politica, non ci suono ruoli che la politica non contempli.

La pesca è solo un’esca per una pubblicità. E l’autobus che cade da un cavalcavia, fino a quando non saranno chiare le cause, è una tragedia. Non c’è altro. Discuteremo ancora di divorzio, così come dell’elettrico. Lo faremo in campo politico, lo faremo davanti a dati. Farlo prima è dell’uomo totus politicus, di quel soggetto antropologico che la Storia ci da dato molte ragioni per diffidarne.

Antonio Giovanni Pesce.


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