“Dolce Natale”, letterina agli antifascisti di Giovanni Coppola

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Ci hanno insegnato che il Natale è festa di pace e di concordia. Quando ero piccolo avevo l’abitudine di scrivere lettere di Natale a quel signore canuto e barbuto che , trainato dalle renne, andava in giro a consegnare regali.

Gli chiedevo la pistola lanciarazzi e la figurina di Pizzaballa, che era “ difficile” per dirla con il gergo di cortile della mia infanzia.

Oggi dopo tanti anni mi ritrovo a pestare una tastiera e scrivere nuovamente una lettera di Natale.

Che non è indirizzata al signore barbuto e canuto, ma agli antifascisti, a quei soloni di democrazia e libertà che da ben 70 anni danno lezione di odio e pensieri liberticidi, e che hanno trasformato una categoria di pensiero in una professione.

Lo spunto me lo ha dato una targa affissa davanti alla sala più importante del Palazzo della Cultura di Catania. C’è affisso il nome di Concetto Marchesi, catanese, noto accademico e grande latinista, morto a Roma nel 1957.

Se c’è una vicenda che più delle altre è esaustiva per quanto riguarda il significato della parola “ odio “è quella afferente alla morte del filosofo Giovanni Gentile. E il nome di Concetto Marchesi regge in modo determinante tutta questa tetra vicenda.

Nel giugno del 1943, in Campidoglio, Gentile richiamò gli italiani alla pacificazione e alla concordia. Gli rispose Marchesi con un articolo uscito in due versioni; la prima nel febbraio del 1944 sul quotidiano socialista Libera Stampa, e l’altra sul quarto numero della “ Nostra Lotta”.

Entrambe le versioni non nascosero un netto rifiuto all’invito di Gentile, e se nella prima versione , come peraltro sostiene Canfora nel suo saggio su Marchesi, Gentile venne accusato di tradimento, nella seconda venne condannato a morte in modo esplicito ( “ …Per i manutengoli del tedesco invasore e dei suoi scherani fascisti, senatore Gentile, la giustizia del popolo ha emesso la sentenza: morte”).

Si è scritto molto su questa terribile chiusa. 

Si sono alternati diverse ipotesi, come quella che questa aberrante parte sia stata aggiunta da Li Causi a firma di Marchesi, il quale per disciplina di partito e spirito di ubbidienza non smentì mai.

Ma c’è pure, mi piace ricordare, una dichiarazione di Togliatti, il quale disse che “ l’uccisione di Gentile era la diretta e giusta applicazione della sentenza che portava la firma di Marchesi.

Rimane il fatto che la mano di una persona debole di mente si armò ed uccise Giovanni Gentile. E , come disse Benedetto Croce, se da una parte ci furono gli esecutori, quelli della cieca ubbidienza, dall’altra ci furono i mandanti, quelli della sorda coscienza. Ciò che ci è rimasto è il corpo senza vita di Gentile e la firma sotto quella sentenza di morte di Concetto Marchesi.

Quella “ morte amara”, così come la definì Dionisotti, spiega in modo esaustivo il peso inutile e opprimente che l’odio riesce ad imprimere nelle vite degli odiatori professionisti, vite misere, prive di colore e di piaceri, perché chi odia non conosce bellezza e rifugge la verità.

Marchesi è stato un uomo di cultura, ma anche un uomo di odio, e quella targa non la merita proprio. Perché se c’è un messaggio che deve provenire forte e chiaro dalle sale di un Palazzo dove si dovrebbe celebrare la cultura, deve essere un messaggio scevro di odio e di ipocrisie, come quelle delle persone che hanno voluto questa targa e questa intitolazione. L’odio non è un concetto a gettoni così come i professionisti dell’antifascismo vogliono farci credere. L’odio è un veleno che si insinua nei gangli vitali di una comunità, un veleno che sarebbe cosa buona e giusta evitare, soprattutto per il bene della verità e delle generazioni future .

A parte questo, tanti auguri e se doveste vedere Babbo Natale, ditegli che la figurina di Pizzaballa non me l’ha mai portata.

Giovanni Coppola.

 

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Benanti

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