Dopo Maradona scompare un altro mito del calcio: il grande Pablito Rossi

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di GianMaria Tesei

“Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo !!!”. Così esultava, celebrando il titolo mondiale di calcio ottenuto l’11 luglio del 1982, Nando Martellini, il telecronista di una delle nazionali che hanno maggiormente fatto vibrare i cuori degli italiani, non sol perché quel gruppo è stato capace di fare vincere per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale la Coppa del Mondo all’Italia, esattamente quarantaquattro anni dopo la seconda delle due affermazioni precedenti in quella competizione (1938, la prima nel 1934). Ma perché è stata una squadra che attraverso molte difficoltà è riuscita a trionfare su tutto e tutti, con un centravanti che per le sue prestazioni sarebbe rimasto impresso nell’olimpo della storia del calcio, Paolo Rossi, che purtroppo si è spento dopo aver lottato contro una grave malattia che lo affliggeva da lungo tempo.

Alcuni esami fatti per un doloroso fastidio alla schiena, con il sospetto che si trattasse di un’ernia o qualcosa di simile e comunque patologia di non difficile risolvibilità, avevano invece portato ad una diagnosi ben più pesante: tumore ai polmoni. Dalla scorsa primavera il grande calciatore aveva battagliato ed era stato sottoposto anche ad un intervento di chirurgia, la scorsa estate, ma nelle ultime settimane le condizioni generali erano improvvisamente e fortemente peggiorate tanto da lasciarci la notte del 9 dicembre a soli sessanta quattro anni nell’ospedale di Le Scotte di Siena, dove era ricoverato.

Dopo avere smesso con il calcio giocato era anche sceso nell’agone politico candidandosi alle elezioni europee del 1999 con Alleanza Nazionale e nel 2000 aveva, infruttuosamente, concorso alla nomina alla presidenza della Lega Pallavolo Serie A femminile. Ma era in televisione come opinionista per reti come Sky Sport, Premium Sport e Rai che riusciva ad esprimere appieno le sue qualità di acume e garbo che lo avevano già contraddistinto da atleta sui campi da calcio.

A Vicenza, città che lo aveva visto grande protagonista dei indimenticabili stagioni della Lane Rossi, si era occupato di dirigere, assieme proprio ad un ex- collega di quel team, già centrocampista e dirigente sportivo, Giancarlo Salvi ( deceduto nel 2016) un’agenzia immobiliare mentre risiedeva, avvolto dall’affetto della sua famiglia ,in Val d’Ambra, a circa trenta chilometri da Siena dove amministrava un complesso votato al turismo composto dall’azienda agricola “Poggio Cennina” e dall’agriturismo “Poggio Cennina Resort”.

Il grande “Pablito”, così chiamato in virtù delle sue splendide gesta tecniche al “Mundial” di Spagna del 1982 ( ed anche per le belle prestazioni nel mondiale antecedente, Argentina 1978, tanto da essere inserito nell’All Star Team di entrambi i mondiali), aveva tre figli , Alessandro avuto dall’unione con la prima moglie Simonetta Rizzato, e Sofia e Maria Vittoria, nate dal matrimonio con Federica Cappelletti, la quale non ha , giustamente , nascosto il grande dolore ed il senso di confusione che l’hanno pervasa, ricordando un uomo che, proprio a detta della consorte, era carico di ottimismo anche nelle situazioni più complesse, capace di trascinare chi gli era accanto con la forza dei suoi valori ( nel 2009 era stato ambasciatore della FAO per sensibilizzare sulla fame nel mondo) e della grande semplicità che gli era propria.

L’ex attaccante pratese (ma anche cittadino onorario di Vicenza dal febbraio del 2020, per i suoi meriti sportivi ed il forte legame con l’urbe veneta), aveva cominciato la sua avventura calcistica nel Santa Lucia, formazione in cui sgambettava anche il fratello più grande Rossano, proponendosi come ala destra, ruolo che aveva svolto con il Prato suo padre e che egli avrebbe ricoperto fino a che, dopo alcune esperienze con squadre minori e venire tesserato per le giovanili della Juventus( con cui fece tutto il classico percorso di formazione giovanile), nel Como venne trasformato in attaccante puro. E’ in questo ruolo che, andato in prestito ( sempre con il cartellino di proprietà della “Vecchia Signora”) al Vicenza, divenne un grande proprio a partire da questa fondamentale tappa veneta con G. B Fabbri( che fu un padre per lui , come lo fu in nazionale Enzo Bearzot) che lo elesse a centroattacco della sua squadra, con la quale il futuro campione del mondo si laureò anche capocannoniere della massima serie con ventiquattro centri nel 1977-78, dopo essere stato il goleador principe della seconda serie l’anno prima con ventuno reti ( quando vinse quel campionato con il Vicenza salendo di categoria).

La comproprietà del cartellino dell’attaccante, era nel frattempo disputata tra Juventus e Vicenza, venendo poi sciolta, alle buste, a vantaggio del team veneto per una cifra molto importante per l’epoca (due miliardi di lire) , arrivando in qual periodo inoltre anche la consacrazione in nazionale con il mondiale argentino ( Rossi detiene assieme a Roberto Baggio e Cristian Vieri il maggior numero, nove, di goal segnati per un italiano in più edizioni di coppa del mondo).

Ad infrangere questi momenti di gaudio, gloria e contentezza, dopo che l’ex ala aveva indossato la casacca del Perugia( in seguito alla cessione, in prestito per due stagioni, susseguita all’ impronosticabile retrocessione del Vicenza in B dopo lo splendido secondo posto in serie A dell’anno precedente)fu l’accusa, con conseguente squalifica della CAF di due anni, per avere imbrogliato in una partita ( Avellino- Perugia), non potendo quindi partecipare al campionato europeo del 1980 che si disputava in Italia ( con la nazionale che giunse quarta , dopo i calci di rigore con la Cecoslovacchia).

Solo tempo dopo si venne a sapere che Rossi non aveva aderito alla truffa ed al massimo avrebbe dovuto denunciare l’abboccamento tentato da uno degli esponenti del Totonero, fenomeno quest’ultimo che avrebbe sconvolto il calcio in quegli anni.

Solo Il commissario tecnico degli azzurri, Enzo Bearzot, e Giampiero Boniperti, il presidente della Juventus (squadra che ne rileva il diritto alle prestazioni a titolo definitivo) a quel punto credettero nella sua rinascita, nonostante i due anni di inattività.

Il primo lo portò ai mondiali spagnoli del 1982 e lo difese strenuamente, peraltro in un contesto in cui è tutta la formazione italica ad essere accusata di scarso impegno e rendimento (tanto che si giunse ad un silenzio stampa- a comunicare con i media è solo il mitico Dino Zoff- che proseguirà fino alla fine del mondiale), contro tutti per le sue perfomance non all’altezza. Sino a che il forte centravanti sbocciò nell’incredibile ultima partita del secondo turno (giunta dopo il pareggio italiano per 1 ad 1 con la compagine argentina guidata dal compianto Maradona)con il Brasile che venne travolto da tre sue marcature, a cui faranno seguito le due contro la Polonia in semifinale e quella in finale con la Germania Ovest, consentendogli di divenire capocannoniere e quindi scarpa d’oro, oltreché pallone d’oro della manifestazione , pallone d’oro assoluto, World Soccer’s World Player of the Year, Once d’or, vincendo inoltre con la Juventus , tra il suo personale anno di grazia, il 1982, ed il 1985 due campionati italiani, una coppa Italia, una coppa delle coppe, una supercoppa europea, una coppa dei campioni (competizione in cui fu il marcatore migliore con sei centri nel 1982-83), per concludere, nel 1987 dopo aver vestito le maglie di Milan e Verona, la sua carriera.

Carriera splendida ed irripetibile di un grande asso del campo e di un uomo dal grande cuore ed animo.

 

 

 

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