E se il momento della cultura fosse arrivato?


Pubblicato il 07 Settembre 2024

di Marco Iacona

Nella mia ex città si dice che gli studi di filosofia siano riservati solo ai “tipi da centro sociale”, sarà forse vero ma essa, la mia città, ama catanesizzare l’universo mondo. L’ermeneutica catanese l’è dura a morire. Ma altrove non va meglio. Forse (volontariamente) per questo, forse per sottolineare un background culturale mica da ridere, forse per aver gettato (e un po’ tutti) l’occhio su Wiki, di Alessandro Giuli – neoministro – si sottolineano, in tema di bio, gli studi filosofici. Quasi come se a studiare fosse stato il solo. Nulla so circa il titolo di studio di Sangiuliano (e se mai se ne parlò non ho memoria alcuna), della Boccia altrettanto, perfino dell’ex marito nelle ultime ore ho appreso di più.

Auguri Alessandro! Di lui serbo un ricordo tutto sommato positivo, giravo l’Italia da ricercatore ci vedemmo, telefonammo. Non eravamo soli ma in compagna di “anziani” diciamo così del gruppo (“pagani” e altro ancora). Le nostre firme apparvero poi su talune pubblicazioni (a mia memoria poche). Per lui arrivò la televisione, arrivò papà Ferrara, per me si aprirono le porte del Secolo (come collaboratore), per poco tempo quelle del Giornale di papi Berlusconi. Il resto ha altra rilevanza. Non ho mai capito cosa significhi la parola “meritocrazia”, se ne percepirò diciamo così la sostanza un giorno – e perché da un’accezione negativa del tempo, si sia passati oggi a una traccia di genere “glorioso” – so che essa non tradirà la natura del cinquantenne romano ex Sapienza, il posto che adesso occupa se lo sarà dunque meritato

Sangiuliano è out. Presto per dire se il “caso” segnerà la storica affermazione del Pink Power per cui “si è chiusa davvero” nella generale percezione l’idea di certo tradizionale vassallaggio in tacco dodici, o se finita la burrasca ri-piomberà il silenzio, nei limiti del lecito, su certo così fan tutte (e tutti). Non faccio l’indovino, come direbbe Cardarelli “nemmeno cerco d’esserlo” (un indovino). La pochezza del governo è sembrata comunque di tutta evidenza. Non su cosa fare (dopo i 5stelle lascerei cadere l’interrogativo leniniano, dopo ogni ventata “global” si fa sempre più dura) bensì su come fare, nel merito cioè di una cultura istituzionale che in Italia, la destra, per ovvie ragioni non ha mai posseduto. Come avrebbe detto Costanzo Preve: questi dopo “anni e anni” di… precariato cosa avrebbero potuto o dovuto inventarsi?

Né vale il discorso del periodo-Berlusconi come “alternanza” scuola-lavoro. Se una cosa ha prodotto il berlusconismo è stata la convinzione che col passato (quel passato) non si sarebbe andati da nessuna parte e che un futuro (“e libertà” con Fini, rinnovato con Meloni) si rendeva necessario. Rinnovato nel senso di un’acquisizione (legittima) di un’eredità culturale declinata secondo valori attuali (repubblicani, costituzionali, solidaristici) nient’affatto emergenziali… dittatoriali o ambiguamente antidemocratici, da contrapporre perfino al comodo e per certi versi curioso abbandono delle posizioni (una bandiera frettolosamente imbiancata) di certa destra “ribelle” anche alla propria ontologia. Se la teoresi ha ancora importanza, grazie ai suoi libri (intendo dire: quello – per certi versi spassoso – sulle “oche” e quello su Gramsci) Giuli è già oltre il consueto. In passato ebbi quest’impressione: Giuli voleva nutrirsi di cultura nelle accezioni di dialogo e rispetto in primo luogo di se stessi (e del proprio Sé filosofico). Il sapere come praticantato alla vita.

Per concludere. Contro ogni facile ottimismo, certi sentimenti spengleriani del tipo la civilizzazione (per noi o sarebbe meglio dire: per loro) è già cominciata un certo 25 luglio… sono dietro l’angolo. Ma non vorrei dar ragione ai mussolinisti. Altrimenti si rischierebbe l’eterno ritorno di non si sa bene cosa.


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