Editoria e antimafia: la “mafia grigia” di Pino Finocchiaro, ovvero il crimine come sistema


Pubblicato il 19 Ottobre 2012

Considerazioni “sbagliate” sull’ultimo lavoro di un giornalista…Di iena libraria Marco Benanti

La mafia come sistema di Potere, che pervade la società, con i suoi meccanismi perversi. Questo il “leit-motiv” dell’ultima fatica giornalistica di Pino Finocchiaro, cronista da oltre trent’anni, prima in tante iniziative editoriali siciliane e poi a Roma alla Rai, dove opera come giornalista, redattore e conduttore di Rai News 24, dopo aver lavorato anche a Televideo, all’Ufficio Stampa Dg e Rai Sicilia.”La Mafia Grigia” la cupola dei colletti bianchi (per Editori Internazionali Riuniti) è, appunto, un viaggio nelle reti politiche, economiche, sociali e culturali di un fenomeno criminale che fa delle sue relazioni dentro la società politica la sua forza.La conferma è venuta dal dibattito tenutosi a Catania, in una libreria del centro, qualche settimana fa (nella foto), alla presenza dell’autore appunto e di un magistrato che a Catania ha lavorato a lungo sulle inchieste di mafia, Nicolò Marino. A moderare l’incontro il giornalista Nicola Savoca.Di fronte un pubblico abbastanza folto, di vecchi e nuovi volti dell’impegno sociale e culturale catanese. Una “fetta” di città che ha sempre trovato difficoltà ad avere riconoscimenti o soltanto visibilità nel contesto generale di una comunità sempre piuttosto indifferente se non strafottente di fronte ai drammi e alle tragedie del proprio tempo.Ma cos’è questa fatica di un giornalista?In circa trecento pagine, Finocchiaro ripercorre un filo di sangue e di Potere, di uomini contro e di uomini al servizio di, di verità da affermare con forza e di menzogne da mascherare. Un “film” che chi lavora nel giornalismo in Sicilia conosce bene: dire la verità è “rivoluzionario”, sempre. Poi in Sicilia diventa “pericoloso” fino alle estreme conseguenze. Non a caso, la grande forza della mafia sta nel consenso. Ma la violenza è l’ultima ed estrema ratio: prima c’è la denigrazione, la diffamazione, l’emarginazione sociale. “Una sottile forma di ingegneria sociale” –ha detto Pino Finocchiaro. Con riferimento a quel meccanismo che la borghesia mafiosa ha ormai perfettamente “oleato” a Catania come in Sicilia.

Chi non sta nel coro, alle “regole non dette”, è “fuori”. Ed è una condizione di solitudine, di isolamento, di morte civile o quasi. Nel suo libro Finocchiaro ricorda anche personaggi a cui è stato legato professionalmente e umanamente come l’ex presidente della Regione Siciliana Rino Nicolosi, le sue vicende e le sue illusioni. Ci sono le città siciliane, belle e tragiche. C’è Catania, con il suo “teatro” , le sue apparenze, le sue “regole non decifrabili” pena l’emarginazione. Come diceva Giovanbattista Scidà, “Titta”, a cui il libro è dedicato. Un ricordo molto forte quello che Finocchiaro ha voluto serbare per il giudice e per l’uomo e per la battaglia cui è legato il suo nome, il “caso Catania”. E su questo gli intervenuti hanno concordato: non una questione di persone, non un “scontro fra fazioni o altro”, bensì una questione riguardante un sistema di Potere ancora oggi funzionante, forse peggio e più di prima.Nel libro ci sono anche interviste a uomini come Vincenzo Consolo, Paolo Borsellino, Sebastiano Ardita. Persone che su fronti diversi hanno combattuto e combattono la mafia. Si ricorda a lungo Pippo Fava e la sua vicenda umana e professionale. Si rammentano le inchieste di maggiore impatto investigativo e storico per la Sicilia e l’Italia, come la strage di via D’Amelio e l’agenda rossa ad essa legata. Ma non solo loro: il libro di Finocchiaro ricorda anche personaggi magari meno importanti, ma con la loro carica di umanità e la loro importanza nel “puzzle” delle vicende trattate. Fatti e personaggi che s’intrecciano e da cui nascono altre storie, con un invitano continuo alla memoria. Ma allora cosa resta di questa lotta secolare? Scrivere, scrivere, scrivere è l’unica forma di rivolta legale ed efficace consentita a chi è nato in terra di mafia.


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