di Fernando M. AdoniaSaltato il Consiglio Comunale fissato per le 19 di ieri sera: manca il numero legale. Salta pure la diretta televisiva. Non si capisce il perché. Alle ore 19.30 il consigliere Manfredi Zammataro, vicino a Nello Musumeci, lancia l’allarme su twitter. L’hashtag (#) è openct: “mi riferiscono che la diretta streaming del consiglio comunale non funziona… lo denuncierò adesso in aula”. Ore 19.58, nuovo cinguettio di Zammataro: “il presidente del consiglio comunale (Marco Consoli, ndr) mi ha risposto sulla diretta che è stata sospesa per parcondicio”. Lasciandosi scappare dalle dita della tastiera un laconico “…mah! “.In effetti sono almeno cinque consiglieri di Palazzo degli Elefanti che attualmente concorrono alla carica di parlamentare dell’Assemblea regionale siciliana: Giacomo Bellavia e Nuccio Condorelli del Pdl, Valeria Sudano per il Cantiere Popolare, Puccio La Rosa e lo stesso presidente Marco Consoli per Fli – Nuovo Polo per la Sicilia.In apparenza sembra aver trionfato la trasparenza. Ma non è così. Si è verificata ieri un’applicazione un po’ goffa della spirito della “par condicio”. La questione è semplice: il consiglio comunale non è “Porta a Porta”. Non è un talk e neanche un rotocalco di approfondimento. La diretta dei lavori della più alta assise cittadina è un servizio. Peraltro non reso ai politici in questione, ma ai cittadini. Sembrerà strano, ma c’è chi a Catania rifiuta di vedere la Juventus in Coppa dei Campioni per seguire proprio la diretta del Consiglio. Magari per gustare le papere, gli assist e i tunnel dei nostri rappresentanti. Questioni di gusto, per carità. Ma anche di democrazia. E, come tale, dobbiamo rispettare questo sforzo.La questione però andrebbe ulteriormente ragionata. Come ha giustamente sottolineato l’opinionista Antonio Pesce: “Il rispetto dell’informazione non può oscurare l’informazione stessa. I consiglieri, quel posto, non lo hanno avuto in eredità, ma da quel popolo che ha diritto a vederli in aula. Proprio questa logica è indice del degrado politico che viviamo: la presunzione che si faccia un favore a piazzare una telecamera in un’assise pubblica. No, è un diritto del cittadino e un dovere dei rappresentanti. Che lì ci sono non per rappresentare se stessi ma un elettorato. Un elettorato che ha diritto di vedersi in aula”. Difficile non condividere questo affondo. Per questo sarebbe opportuno che la Presidenza del consiglio catanese riveda tali norme. Altrimenti, in assenza di Juve e Milan, saremmo costretti a seguire il Consiglio grazie ai twit di Zammataro. Facendoci vivere quella medesima ebrezza da social network che ha pervaso la primavera araba. Infondo, Zammataro, da gran frequentatore di Nello Musumeci, di “Primavera” se ne dovrebbe intendere a dovere.
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