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Elezioni regionali: “rotture”? O continuità “jurassica”? Claudio Fava indica come suo assessore Adriana Laudani. Per fare quale “Rivoluzione”?
Pubblicato il 23 Settembre 2012
A volte ritornano! Nella “squadra” del candidato della “sinistra radicale” un nome che in Sicilia e a Catania è presente quasi da quarant’anni. Con ruoli di Potere. All’interno dell’ “epopea” di un ceto politico-familiare.Di iena politica marco benanti
Claudio Fava, secondo taluni, è quello che “rompe”. Dicono così, fra i suoi sostenitori. “Rompe” con le modalità del passato. Se accadrà lo vedremo, se diventerà presidente della regione. E con le scelte politiche attuali? Noi stiamo ai fatti: e leggiamo che il candidato di Sel, Idv, Verdi e Federazione della Sinistra ha indicato, fra gli altri, nella sua “squadra” di assessori Adriana Laudani. Niente male, come innovazione!
Ma chi è Adriana Laudani? E’ certamente un personaggio legato a Fava e alla sua famiglia, per essere stato avvocato di parte civile nel processo per l’omicidio mafioso del padre, il giornalista (che nelle segreterie di partito non voleva entrare manco a cannonate) Pippo Fava (Adriana Laudani è stata legale di parte civile in altri processi di vittime di mafia). Ma non solo: c’è una vicinanza, umana e politica, all’esperienza della rivista “I Siciliani” fondata da Fava.
La Laudani è anche avvocato, professionista stimata e quindi è spiegabile in questo senso l’incarico per la paventata riforma della Regione nel programma di Fava. Del resto, alla Regione Adriana Laudani c’è stata già: da deputato del Pci è stata parlamentare regionale siciliana, dal 1975 al 1991 per tre legislature, con il ruolo di vice presidente del gruppo parlamentare all’Assemblea Regionale Siciliana. Nel 1991 è stata eletta segretaria della federazione provinciale del Pds di Catania, ruolo che ha rivestito sino al 1995. Iscritta al Pds prima, ai Ds e al Pd, è stata componente del consiglio e della direzione nazionale del partito, nonché presidente della direzione regionale dei Ds, componente della direzione regionale e della direzione provinciale di Catania.Insomma, Adriana Laudani è personaggio politico che da appena quarant’anni calca i vari “palcoscenici” della politica italiana. Ma c’è di più: politicamente, Adriana Laudani è espressione, una delle massime espressioni, di un gruppo politico-familiare che domina a Catania, nella sinistra, da decenni. Con ruoli diversi, ma con una presenza molto importante soprattutto nella vita dell’ex Pci, a cui si iscrisse nel 1974. L’ “asse Laudani-Berretta-Scuderi” è stato e lo è ancora un “asse di ferro” che, nel bene e nel male, è ancora presente nella vita politica catanese e siciliana. Un caso emblematico del mancato cambiamento dei gruppi dirigenti siciliani e, più in generale, italiani.Insomma, una “scelta vecchia” quella di Fava. In termini politici. Perché scelte del genere non si possono certo spiegare esclusivamente in termini “privati-sentimentali“. Non ci crediamo… Perchè le storie e le vicende sono complesse ed importanti. Anche quelle legate ad Adriana Laudani.
Quando, nel 1997, sui giornali venne fuori (ma senza che sfociasse in nulla dal punto di vista giudiziario, lo precisiamo) anche il suo nome, assieme a quello di politici, per il memoriale (la descrizione del sistema di potere politico-affaristico della Sicilia) di Rino Nicolosi (“un ragionamento storico-politico”-precisò successivamente l’ex presidente della regione) rispose così: “Non so chi mente e a chi giovi mentire.So che in quegli anni terribili ho rischiato la mia vita e quella dei miei figli per la dura lotta e le denunzie fatte contro la mafia, i comitati d’ affari e i governi paralleli”.La sua presenza nel Pci dura per decenni: è componente del comitato centrale dal 1975 sino allo scioglimento del partito. Componente della direzione regionale, diviene componente della segreteria regionale nel 1981, a seguito dell’elezione a segretario regionale di Pio La Torre. E’ consigliere comunale di Catania, eletta nelle liste del Pci, dal 1974 al 1979. Negli ultimi anni la si ricorda come docente e consulente di amministrazioni pubbliche. Insomma, un “cursus honorum” di tutto riguardo. Storico, diremmo. Una carriera politica dentro la sinistra catanese, con le sue luci e le sue contraddizioni.
E siccome la memoria serve sempre –e non solo –come si fa spesso a sinistra- come “clava” contro i “nemici” politici- ecco cosa scriveva della sinistra catanese, nel 1991, Claudio Fava in “La mafia comanda a Catania (1960/1991)”: all’interno dell’analisi del sistema di potere imperante a Catania, in particolare negli anni Settanta e Ottanta, c’è anche il ruolo della sinistra. Eccone alcuni stralci: “…”Ma garantisce anche una certa cultura di sinistra, prudente e ossequiosa. Comunisti sono i due progettisti di fiducia dei cavalieri Rendo e Costanzo (l’ingegnere Camillo Bosco e l’architetto Giacomo Leone). Comunista è l’opposizione in consiglio comunale, cauta e distratta. Comunisti, i compagni della Lega delle cooperative che continuano a celebrare consorzi con le imprese del cavalier Costanzo….
Per la sinistra, l’armistizio politico con i grandi capitalisti e i loro protettori aveva perfino una sua nobilità: era il presupposto per un “blocco sociale fra imprenditori e masse”, una condizione di progresso economico, una scelta vincente. In realtà si subiva il vecchio ricatto occupazionale: l’imprenditoria assistita garantiva posti di lavoro, ma quei posti di lavoro –sotto la minaccia della disoccupazione- richiedevano un flusso continuo di finanziamenti pubblici. E il cerchio si chiudeva. Eppure c’era altro, una sorta di inconfessabile pudore a riconoscere che il miracolo economico si era estinto. Catania era ormai una città di frontiera, degradata, avvilita, presidiata dalla mafia, divorata dai comitati d’affari: una preda. Nella sinistra qualcuno cominciava confusamente ad intuire le proprie colpe, la subalternità culturale nei confronti dei vincenti, la pigrizia politica, quell’eccesso di perbenismo che aveva indotto il Pci a schierarsi quasi sempre su posizioni di retroguardia. Ma più il partito capiva d’essersi lasciato sottomettere, maggiore era la foga con cui il suo vecchio gruppo dirigente difendeva il buon nome di Catania. I cavalieri? Gente operosa, mica si può fare l’analisi del sangue a tutte le imprese siciliane…“
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