Piena solidarietà alla collega condannata perchè giornalista pubblicista piuttosto che professionista e quindi tenuta a rivelare la fonte. E’ la vicenda della collega Giulia Martorana che è stata condannata dal giudice monocratico di Enna a venti giorni di carcere, pena sospesa, per favoreggiamento nei confronti di persona che ha violato il segreto d’ufficio.
La giornalista dell’agenzia di stampa “Agi” e del quotidiano “La Sicilia”, aveva scritto articoli relativamente alle violenze sessuali su due sorelline minorenni, nel 2008, ipotizzando che oltre a un indagato arrestato ve ne fossero degli altri. Il pubblico ministero voleva sapere chi le avesse detto che vi erano altre persone coinvolte nell’indagine.
“Non è nel mio stile – ha detto la Martorana – andare contro la magistratura. Il giudice ha applicato seppure rigidamente una norma. E’ quest’ultima che andrebbe cambiata e che non tutela i tanti pubblicisti che sono alla base dell’informazione in Italia in quanto impegnati in quotidiani, radio e tv come collaboratori in realtà spesso difficili”.
Qui di seguito vi proponiamo il comunicato stampa emesso in proposito dal sindacato unitario dei giornalisti italiani:
“La sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Enna ripropone con forza il problema del doppio binario della professione giornalistica e della divisione, ormai anacronista, dei giornalisti tra professionisti e pubblicisti.
Negare ai giornalisti pubblicisti le tutele deontologiche della professione mette in serio pericolo la libertà di informazione e il diritto costituzionale dei cittadini di essere correttamente informati.
Il Sindacato dei giornalisti sosterrà la collega Martorana in tutte le sedi per confermare e dimostrare la correttezza del suo serio comportamento e il totale rispetto delle regole e delle norme professionali e deontologiche, sollevando, tramite i propri legali, anche la questione di legittimità costituzionale di una legge che appare fuori dal tempo e dalla logica.
Auspichiamo che in sede di Appello i giudici vogliano tenere conto di queste evidenti ragioni, evitando le imposizioni e le restrizioni che svilirebbero lo svolgimento del già difficile mestiere di cronista specie nelle zone ad alta densità mafiosa e criminale.
Al tempo stesso questa dolorosa e incomprensibile vicenda ripropone con forza il problema di una urgente e non più rinviabile riforma della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti che oggi non è più in grado di rappresentare correttamente la realtà della professione”.
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