Enzo Bosso: il trapasso di un genio musicale ed un grande uomo

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di GianMaria Tesei

Il quindici maggio 2020 sarà ricordata come la data nella quale un grande fuoriclasse dell’arte e della vita ha abbandonato la sua forma mortale per regalare musica al cielo.

Il grande Ezio Bosso, compositore, pianista e direttore d’orchestra d’impareggiabile bravura ed estrema sensibilità si è spento dopo aver lottato e , soprattutto, insegnato a lottare senza odiare ma con una capacità rara di amare la vita e, raccontandola e facendola sentire appieno, la sua arte, senza sentirsene mai padrone unico ed esclusivo ma considerandola un patrimonio di tutti i soggetti che la pensano, la creano, la fanno, la riproducono , la ascoltano, la coccolano e se ne fanno coccolare accarezzando le proprie più manifeste, ed anche le più nascoste, sensibilità.

 A privarci della straordinaria capacità di emozionare dell’interprete torinese è stata una devastante malattia neuro-degenerativa, che ha dei sintomi assimilabili alla SLA (Sclerosi laterale amiotrofica ), mentre si è anche teorizzato avesse neuropatia motoria multifocale (MMN) che danneggia il funzionamento dei nervi motori addetti a veicolare i segnali provenienti dal sistema nervoso e destinati ai singoli muscoli.

In qualsiasi caso , il grande performer, che ci ha abbandonato a soli 48 anni, ha avuta diagnosticata la malattia che lo ha segnato negli ultimi anni della sua vita, in seguito ad un intervento per un cerebrale nel 2011.

La sua fulgida carriera,  caratterizzata da riconoscimenti al suo talento ( tar cui due meritatissimi Premio Flaiano, nel 2003 e nel 2005), fatta di importanti concerti e collaborazioni internazionali e di pregevoli sinfonie, composizioni per orchestre e per un solo strumento, duo, trii, quartetti per archi, musica vocale, misti, balletti ,teatro ed opere, si è estesa anche all’ambito filmico con colonne sonore per cortometraggi, film muti e lungometraggi , con due nomination ai David di Donatello per “Io non ho paura”(2004) ed “Il ragazzo invisibile”(2015).

Il debutto da solista in Francia a soli 16 anni ha inaugurato una carriera che si é giovata della sua formazione all’accademia di Vienna dove ha atteso agli insegnamenti di contrabbasso, composizione e direzione d’orchestra.

Ambasciatore e testimonial internazionale dell'”Associazione Mozart 14″, eredità ufficiale dei principi sociali ed educativi del Maestro Claudio Abbado, si è prodigato a sostegno dell’Opera Pia Barolo e Medicina a Misura di Donna a Torino, avendo inoltre un grande successo, oltreché per le sue illustri collaborazioni internazionali ( come quella con la London Symphony Orchestra , senza dimenticare la carica ricoperta per due anni da Direttore Stabile Residente del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste) anche grazie al suo primo disco da solista (due cd a delineare un concept album con oltre 50.000  copie vendute a regalargli un Disco d’oro), intitolato “The 12th Room”, con alla base la teoria delle dodici stanze che egli aveva tratto dalla produzione redazionale di una teosofa, Helena Blavatsky, la quale riferiva alcuni suoi pensieri ad un antico testo disperso nei tempi ed intitolato proprio “Libro delle 12 stanze” .

Al centro v’è una teoria che postula come la vita sia composta da dodici stanze, in ognuna delle quali ognuno da qualcosa di sé, dodici stanze che rimembreremo solo quando giungeremo all’ultima per poi ripartire da lì e riscrivere noi stessi, in un ciclo vitale di cui la morte è solo una fase e non un termine finale od un limite.

Questa grande  vocazione e predisposizione dell’artista torinese ad affrontare positivamente la vita e le difficoltà (“ho smesso di domandarmi perché. Ogni problema è un’opportunità”) che lo hanno caratterizzato, imprigionando progressivamente i suoi movimenti ma non il suo spirito e l’anima, hanno permesso di dischiudere una personalità il cui esempio fattivo e le cui parole non patiranno mai lo scorrere del tempo.

E la sua completa e splendida idea di vita emerge dalle frasi in cui la descrive, scolpendone i caratteri magici, come quando afferma che la musica è una terapia, una magia( per questo i direttori hanno una bacchetta come i maghi) e porta oltre ed è , non solo linguaggio, ma trascendenza; i caratteri didattici, quando ha affermato che la musica insegna la cosa più importante, ossia  ascoltare e come essa sia come la vita: si deve fare insieme, sostenendo inoltre come , anche nella musica, I silenzi abbiano un suono, conseguendone che non esista l’ultima nota poiché l’ultima nota suonata da uno strumento “è la nota che inizia l’altro”. E sempre sui silenzi, lo stesso Bosso, ci ha illustrato l’importanza del silenzio attivo, ossia quello che aiuta ad ascoltare non solo il suono ma sé stessi e la propria anima.

Il tutto, ricordandoci sempre che noi tutti siamo un “unus, essere uno. Significa divenire un unico corpo, condividendo le nostre singolarità e nutrendo attraverso l’altro la nostra esistenza. È una parola che racchiude la sacralità insita nell’essere umano, la sacralità del vivere ogni giorno per rendersi inseparabili e proteggersi quotidianamente”.

 

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Benanti

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