Catania, 22 novembre 2024 – I consiglieri comunali del M5s Graziano Bonaccorsi e Gianina Ciancio hanno presentato un’interrogazione urgente sulla recente concessione rilasciata alla società La Tortuga, che prevede l’ampliamento e la privatizzazione del molo di ponente del porticciolo di Ognina, sottraendo spazi storicamente accessibili alla collettività. “La concessione, approvata dalla Regione Sicilia, sembrerebbe senza […]
Estorsione a giornalista da parte di due politici catanesi? No, forse falsa testimonianza della stessa!
Pubblicato il 26 Marzo 2012
Clamoroso al processo contro Filippo Drago e Fabio Mancuso denunciati da Elena Giordano. Il Pubblico Ministero propone l’assoluzione per gli imputati e chiede ai giudici di valutare la possibilità di mandare gli atti alla Procura.
di Iena Giudiziaria
Colpo di scena al processo, per presunta estorsione nei riguardi di una giornalista, contro Filippo Drago (sindaco di Aci Castello) e Fabio Mancuso (deputato regionale), imputati davanti alla Quarta sezione del Tribunale di Palermo. Oggi, il pubblico ministero Maurizio Agnello ha tenuto la sua requisitoria concludendo così: assoluzione per i due politici e richiesta ali giudici di valutare la possibilità di mandare gli atti alla Procura per vagliare la posizione della giornalista Elena Giordano e di una sua amica che avrebbero reso falsa testimonianza.
“E’ normale in questa regione – ha, tra l’altro, detto Agnello – dove un terzo dei deputati è inquisito o imputato, sperperare denaro pubblico assumendo giornalisti raccomandati”. Secondo il Pm, quindi, dalla vicenda verrebbe fuori un quadro poco incoraggiante, ma penalmente non rilevante.
Ma cosa aveva denunciato Elena Giordano? Il 17 dicembre 2004, il gruppo parlamentare Udc-Dl, presso l’Assemblea Regionale Siciliana, su proposta del legale rappresentante, l’on. Fabio Mancuso, le fa recapitare una lettera di assunzione con rapporto di lavoro giornalistico continuato e a tempo indeterminato, secondo le regole stabilite dal contratto collettivo di lavoro giornalistico, con la qualifica di capo servizio, nella specie “giornalista del gruppo Udc”.
Dal momento dell’assunzione, Elena Giordano lavora ininterrottamente fino al maggio del 2006, quando –improvvisamente e senza alcun preavviso- le viene sospesa la busta paga. La giornalista decide di rivolgersi all’avvocato Marasà, del foro di Palermo: costui invia al gruppo parlamentare dell’Udc una lettera di diffida a provvedere al pagamento della retribuzione relativa al mese di giugno 2006 nonché alle 14esima (indennità redazionale annuale) relative agli anni 2005 e 2006. A questa comunicazione, gli stessi del gruppo Udc danno seguito affermando che il gruppo da lì a poco chiuderà dunque provvederanno a trovare una collocazione a patto che la giornalista desista dall’intraprendere qualsiasi eventuale azione legale.
Il 12 luglio 2006 Elena Giordano firma, per intercessione dell’Ordine Regionale dei Giornalisti, un incarico come portavoce, presso la Regione Siciliana, dell’Assessore ai Lavori Pubblici, l’esponente Udc Agata Consoli. La dott.ssa Consoli, secondo quanto affermato in querela dalla giornalista, avrebbe posto come unica condizione a questa assunzione il previo benestare di Mancuso e Drago. Alle contrattazioni per il nuovo incarico professionale assiste il dott. Franco Nicastro, presidente dell’Ordine Regionale dei giornalisti all’epoca dei fatti: il nuovo lavoro sarebbe cominciato a far data dal 19 luglio 2006.
E cosa accadde? Ha denunciato Elena Giordano di aver ricevuto – il pomeriggio del 12 luglio- due telefonate: una effettuata dal capo di gabinetto pro tempore dell’assessore Consoli, il quale la informava che prima di prendere servizio sarebbe stata contattata dall’on. Mancuso per “regolarizzare una certa situazione”. La seconda chiamata sarebbe stata fatta, secondo la versione della collega, dagli on.li Mancuso e Filippo Drago. “Nel corso di quest’ultima chiamata –ha denunciato la collega Giordano- mi veniva ‘chiesto’, rectius imposto, che se avessi voluto lavorare, avrei dovuto firmare una liberatoria dove assumevo di essere stata soddisfatta nei crediti e nei doveri di assunzione per chiusura del Gruppo Parlamentare, altrimenti non avrei mai più lavorato!”
Risultato: dal punto di vista economico la giornalista non ha ricevuto nulla (il gruppo parlamentare dell’Udc ha chiuso successivamente la questione economica dal punto di vista civile attraverso una transazione che le ha visto corrispondere una parte delle somme dovute). “Mi veniva altresì ‘raccomandato’ di non presentarmi sul posto di lavoro prima di aver ‘diligentemente’ compiuto il mio dovere ovvero di firmare la quietanza che avrebbero provveduto a recapitarmi via fax”- ha aggiunto la giornalista che ha continuato: “in data 26 luglio 2006 mi veniva recapitata a mezzo fax, da un ufficio dell’Ars una lettera liberatoria da firmare e recapitare immediatamente. ‘Diligentemente’ eseguii detto adempimento, facendo recapitare una prima copia via fax e la seconda, all’indomani ed in originale, tramite raccomandata A.R. L’accordo consisteva che all’atto del ricevimento della raccomandata avrei preso subito servizio, altrimenti non se faceva più niente e io non avrei più lavorato!” Ebbene? “La raccomandata è stata fatta, io non ho più lavorato!”-denuncia la giornalista. Di lì contatti con Mancuso e Drago, ma nessun risultato concreto. Poi, il 6 settembre 2006 la giornalista si reca in assessorato regionale ai Lavori pubblici e viene a conoscenza che il suo posto è già stato occupato da altra persona.
Questa, in sintesi, la vicenda per la quale ci sono state numerose udienze al Tribunale di Palermo, dove sono stati sentiti, tra gli altri, il Presidente dell’Ordine Regionale dei Giornalisti di Sicilia Franco Nicastro, il cronista Giuseppe Lo Bianco e ancora investigatori della Guardia di Finanza.
Gli imputati negano ogni addebito. Inoltre, Filippo Drago, con spontanee dichiarazioni rese in aula, ha espresso tutta la sua amarezza per una vicenda che lo vede contrapposto ad una persona –ha ricordato in aula- che conosce da tanti anni e che –a suo dire- ha aiutato. Per il pm, però, la nomina fu bloccata per un intervento dell’assessore Agata Consoli, che non gradì alcuni comportamenti della giornalista, mentre la telefonata minatoria raccontata da Elena Giordano sarebbe un’invenzione perché i due deputati non erano assieme quel giorno, come lei invece ha affermato. Lo dimostrano i tabulati telefonici. Il processo è stato rinviato al 3 aprile per la sentenza.
Lascia un commento