Le “spruzzatine” di scemenze fanno bene alle anime belle,agli ipocriti perbenisti, rassicurano e rinfrescano da canicole insopportabili, fanno sorridere per il reiterarsi di luoghi comuni duri a scomparire, facendoci rivivere epoche del liotru anni ’70 e ‘80, in cui giravano tanti “quattrini” come soleva dire da paperopoli il puparo etneo, in cui era obbligatorio il coprifuoco. Pertanto, bisognava andare a letto presto, per incontri spiacevoli ed evitare guai peggiori, mentre al palazzo della pupa si dormivano sonni tranquilli, come ci ricordava ludico, solerte e intelligente quell’illuminista di Titta. La città si voltava dall’altra parte tanto si “ammazzavano tra di loro”, se scorreva un po’ di sangue mica era il nostro, c’era (c’è) povertà e fame , ma non c’era (c’è)sorpresa o stupore ed era difficile riuscire a spegnere le immagini dell’orrore.
Regnavano (quasi) indisturbati i “cavaleri”, amici degli amici, la macchina della propaganda girava a pieno regime “questa sera alle ore parlerà l’onorevole”. C’era chi non osava parlare di mafia, mai e poi mai , né quelli di destra,né quelli di sinistra, figurarsi quelli di centro. Quando qualcuno l’ha fatto come il siciliano eccellente è finito al cimitero. Poi c’erano tutti quelli che non pensavano neanche a difendere i diritti del cittadino. Era l’epoca in cui era meglio riportare la cronaca dei fatti sic e simpliciter, “schitti schitti” sopra il giornale che appena lo prendevi potevi macchiarti d’inchiostro con grande maledizione se accadeva. Si poteva parlare male dei politici in pubblico e poi fare l’occhiolino per andarci a cena la sera. Ogni mondo è paese e tutto ciò non succedeva solo da noi. Amministrare la giustizia significava essere seppelliti dai fascicoli, esercitarsi nelle arringhe con parolone retoriche e codicilli sterminati e sin da quel tempo per avere una prima sentenza di separazione (giudiziale) passavano non meno di quattro anni.
Eppure oggi facce toste, padroni di penne “smozzate” si esercitano a scrivere come a quei bei tempi antichi del Ponte sullo Stretto, del casino(‘) di Taormina, scimmiottando rivendicazioni di sicilianisti doc e scusatemi se mi dimentico qualcosa. Pertanto, arriva sempre qualcuno all’ora e al momento giusto per fare ricostruzioni di falchi e colombe, dimenticando i risultati di oltre un decennio inconcludente , in cui oltre gli amici di “casa nostra” che dominavano i quartieri c’era chi se la “spacchiava” a destra e manca scorrazzando per le strade più o meno deserte forse esagerando un pochino. Siamo un po’ tutti abituati a vivere in ambienti di lavoro dove camminano fianco a fianco i demoni e gli angeli, dove ci sono il diavolo e l’acqua santa. Mi sembra in fondo che la coscienza nella comunità irridente e ironica sono più o meno quelle di sempre. Nessuno che si occupa dei diritti civili anzi nessuno sa cosa siano però almeno che abbiamo il coraggio di combattere quelli incivili. Una città comodamente borghese indifferente a quel che succede dietro la porta di casa, sempre alla ricerca di protezioni, favori, prebende e sostegni, degna erede di commedie leggere, esilaranti e volgari, miciu docet, in cui si passa da riso al pianto, di poveri sempre più poveri, di miserie sempre più misere, di miasmi sempre più puzzolenti. Al pranzo di gala del governo spartitorio pochi si sottraevano (si sottraggono?). Fatevene una ragione anche se non vi piace questa come tante altre è una città senza diritti, questa è un comunità in cui si vive meglio facendo a meno anche dei doveri, meglio inabissarsi sotto la sabbia. Eppure, la gens etnea sta bene lo stesso, ognuno con il suo particulare da difendere, con il suo orticello da crescere. Tante recite in ogni dove dei finti onesti per conquistare spazi e potere, rivendicando moralità e purezza con il fine di ottenere poltrone da occupare. Poi arrivano satrapi arroganti pronti a dettare legge pardon ordini da eseguire. E poi come sempre una volta ascesi al trono “acqua davanti e ventu d’arreri”.
Ghino Di Tacchino.
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