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Festa S.Agata, morte di Roberto Calì: la Cassazione “chiude” il caso anche in sede civile
Pubblicato il 05 Febbraio 2020
La Cassazione mette fine, confermando quanto stabilito nei precedenti gradi di giudizio, alla questione risarcimento in sede civile per la morte di Roberto Calì, che il 6 febbraio 2004 rimase ferito durante la salita di San Giuliano nel corso della festa di S.Agata e il giorno dopo morì’, a solì 22 anni, lasciando moglie e due figli.
La terza sezione civile della Suprema Corte ha, infatti, dichiarato inammissibile il ricorso del comune di Catania, ricorrente principale contro la sentenza di Corte di appello del maggio 2018. La Cassazione ha ritenuto altresì infondati anche i ricorsi incidentali della Arcidiocesi e dei familiari di Calì.
In primo grado il Tribunale di Catania aveva accertato la responsabilità dell’Arcidiocesi di Catania, del comitato organizzatore della festa e del Ministero degli Interni in tema di predisposizione delle opportune misure di sicurezza. In totale erano stati riconosciuti 900 mila euro (condanna in solido) a genitori, moglie e figli della vittima. Non solo: il tribunale aveva accolto la domanda del comitato organizzatore della festa e aveva condannato la Reale Mutua assicurazione a garantirlo e manlevarlo. E’ scritto nella sentenza della Cassazione che “…l’Arcidiocesi interponeva appello, in via principale, lamentando, tra l’altro, la mancata condanna del Comune di Catania in proprio e non solo come componente del Comitato organizzatore dei festeggiamenti. Anche i danneggiati impugnavano in via incidentale la sentenza, lamentando, a loro volta, il mancato riconoscimento della responsabilità anche del Comune di Catania. L’ente Comunale non dispiegava appello incidentale e si limitava a costituirsi in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello per quanto di interesse. Il Tribunale aveva, infatti, riconosciuto che il Comune di Catania aveva garantito il proprio apporto economico e provveduto ad ogni necessità materiale, compresa la manutenzione del fercolo. Ne aveva riconosciuto la responsabilità ex art. 41 c.c., in quanto componente del Comitato, ma aveva negato la responsabilità ex art. 2054 c.c., non essendo stato provato che il fercolo fosse di proprietà del comune ed essendo stato dimostrato, tramite Ctu, che non poteva essere considerato un veicolo.
La Corte di Appello, con la sentenza qui impugnata, accoglieva parzialmente l’appello principale e quello incidentale, e per l’effetto, riteneva corresponsabile il Comune di Catania, condannandolo in solido con l’Arcidiocesi, il Comitato organizzatore dei festeggiamenti e con il Ministero degli Interni al risarcimento dei danni nella misura liquidata dal giudice di prima cure; rideterminava, di conseguenze, le spese di lite e di Ctu di entrambi i gradi di giudizio..”.
L’indennizzo ( in totale 1.200.000 euro) ai familiari della vittima (madre, padre, sorella, moglie e figli, assistiti dall’avvocato Salvatore Ragusa) è stato riconosciuto malgrado che nel processo penale fossero state archiviate tutte le posizioni, ecceto quello del “capovara” Alfio Rao, condannato in via definitiva dalla Cassazione a quattro mesi di reclusione.
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