Gian Maria Tesei
Valorizzare il territorio e le sue peculiarità e prodotti. E’ questo il principio posto alla base di” Food & wine weekend” manifestazione eno-culturale (organizzata da” Taormine associazioni commercianti Taormina”, con in primis Nino Scandurra e lo Chef Pietro D’agostino) tenutasi a Taormina il 24 ed il 25 di novembre, che ha veduto coinvolte molte attività ed esercizi commerciali del Monte Tauro nell’esaltare vini (soprattutto siciliani) ed ha avuto, oltre ad un significativo banco d’assaggi, delle masterclass-workshop di notevole livello.
Dopo i primi workshop avutisi il pomeriggio di sabato 24 con Cantine di Nessuno, Joacquin, tenute di Fassina, Tornatore e Cantine Avide, di grande rilevanza sono stati anche quelli svoltisi( sempre a Palazzo Duchi di Santo Stefano) il giorno successivo.
Ad inaugurare i momenti domenicali è stata Federica Fina ,della Cantine Fina, con il workshop intitolato “La Sicilia Continente”, introducendoci nella narrazione della storia della ditta enoica suddetta che ebbe le sue premesse negli anni ’80 grazie al padre di Federica( trattasi infatti di azienda familiare), valente enologo, posto a capo di uno studio sperimentale dell’associazione regionale della vite e del vino del presidente Diego Planet, analisi mirante a fare studi di zonazione con vitigni alloctoni.
Giacomo Tachis (colonna portante l’enologia italiana), nel ruolo di consulente esterno, ha aiutato Bruno Fina a sottolineare come la Sicilia fosse ( e sia)un vero e proprio continente viti-vinicolo per la sua conformazione morfologica e, tra l’altro, anche per l’escursione termica che consente la coesistenza di diversi tipi di terroir di qualità.
Grazie a Giacomo Tachis, con cui il capostipite della famiglia Fina ha collaborato dal 1995 per 15 anni, Bruno Fina ha incominciato la produzione di vini di qualità per altre aziende, per poi creare l’azienda nel 2003 con le prime produzioni nel 2005, frutto dei terreni di contrada Bausa, location che si affaccia sulle Egadi.
Fina ha proposto nel corso della masterclass un sauvignon blanc in purezza, utilizzando quindi un vitigno che ha il rischio produttivo nell’ossidazione già in pianta. Proprio per questo si lavora in ossido-riduzione con l’uso del ghiaccio secco e dell’azoto a salvaguardare la buona riuscita del prodotto.
Il sauvigno blanc, essendo un vino aromatico, nasce da uve collocate in zone alte e fresche quali quelle in cui agisce la Cantine Fina nella zona di Erice (550 metri sul livello del mare) e Santa Ninfa (posto a 630 metri d’altitudine), proprio perché la buona differenza di temperature tra il giorno e la notte, consente , in notturna di sviluppare i sentori tipici del sauvignon blanc , quali quelli di pere Williams o quell’odore caratteristico di “pipì di gatto” proprio del vitigno di origine francese, utilizzato anche per ammorbidire ( 10%) il “Kikè”, vino che si compone per il 90% di Traminer.
“Autoctoni d’Altura del centro Sicilia-Catarratto e Nero d’Avola” di Gianfranco Lombardo è il titolo della masterclass seguente, che ha visto ancora una volta riaffermare la compresenza di differenti tipi di dna d’uve con molteplicità di terreni e condizioni ottimali per lo sviluppo di importanti prodotti enoici.
La tenuta Lombardo, così come la Cantine Fina, ha struttura familiare, seguendo la via per la quale agricoltori ed enologi sono stati in grado, attraverso un graduale processo di crescita, di realizzare forti progetti d’ identità familiare, di prodotti e territori.
La Tenuta Lombardo, nata nel 2006 ha una forte vocazione commerciale internazionale rivolta un mercato con 10 nazioni (coinvolte per il 70% della produzione) tra cui spiccano Germania, Belgio ( maggior mercato di sbocco), Francia( la sfida avvincente,)Svizzera, Finlandia, Israele, Giappone ed Usa , quindi da un lato paesi con una certa tradizione vinicola che assicurano una correlazione tra ordinativi e valore della produzione ed anche altri , dall’altro, che devono ancora comprendere appieno l’importanza della qualità fornita da aziende come Tenuta Lombardo e che ,come in Germania, presentano un insieme di consumatori legati al prezzo della loro bevanda principe, ossia la birra e che devono essere ancora condotti all’arte del bere vino. La produzione è soprattutto indirizzata alla ristorazione, ed ha avuto, nella sua crescita storica, il percorso, tipico di molte realtà enoiche siciliane, di cantina di vendita di vino da taglio e sfuso negli anni ’70, per poi, pian piano, giungere all’imbottigliamento in proprio, focalizzando i propri sforzi sul Nero d’Avola del centro Sicilia.
La Tenuta Lombardo, con i suoi trenta ettari, produce centomila bottiglie l’anno, con piena produzione raggiungibile attorno alle centotrenta-centocinquantamila, puntando soprattutto su” Bianco d’Altura”( catarratto) e “Nero d’Altura” ( nero d’avola), dando una grande rilevanza anche ad uno spumante Brut (catarratto al 100%, metodo Martinotti, per esaltare i sentori di frutta primaria) ed una sperimentazione su un rosé di matrice interamente di Nero d’Avola.
Il Bianco d’Altura sorge dalla volontà di adottare il catarratto, palmite che è tra i primi 5 vitigni utilizzati in Italia e che, in Sicilia, dopo una flessione produttiva (da 60.000 ettari a 40.00, ma in grande risalita), trova il suo luogo d’ideale esaltazione anche nell’areale del centro Sicilia, zona che solo recentemente ha trovato una sua vera dimensione, in fieri, vitivinicola.
E proprio per magnificare le tipicità del centro Sicilia si è pensato ad un grande bianco, che non fosse frutto di un innesto ,come ad esempio Il Grillo :” seme di Catarratto bianco fecondato artificialmente col Zibibbo”( ossia il Moscato d’Alessandria ), come sosteneva A. Mendola nel 1874 parlando per la prima volta del “riddu”.Si è voluto invece concentrare gli sforzi produttivi su una tipologia di vitigno che avesse un carattere identitario originario ossia il catarratto che, giovandosi di importanti sbalzi termici, si dota di una sostanziosa acidità che esprime degli ottimi profumi primari, disponendo di un ampio spettro aromatico, pur non essendo un semi-aromatico e trovando una sua compatibilità positiva con un terreno calcareo quale quello dell’azienda di Tenuta Lombardo.
Se il Bianco fa emergere, una buona persistenza legata ad un profumo di pesca, il nero d’avola, che fa un affinamento di un anno in legno, per poi passare in acciaio e fare almeno sei mesi in bottiglia, evidenzia al naso un effluvio di frutta rossa, tra cui la tipica nota del nero d’Avola di ciliegia in primis, prugna, amarasca, liquirizia, con un colore viola( dovuto alla terra bianca calcarea ed alla malvidina propria del Nero D’Avola), presentandosi in bocca con una segnata persistenza ed un tannino che tende ad evolversi nel tempo.
Il workshop successivo, condotto da Simona Barbera per Alessandro di Camporeale( azienda da 40 ettari e con limite produttivo fissato a 300.000 bottiglie annue), si è incentrato sull’etichetta principe dell’azienda Kaid- syrah, attraverso una verticale di tre annate molto interessanti.
L’impresa vinicola ha una potente identità territoriale ( Camporeale è in fatti il nome del paese in cui è stata generata, situato a 40 km da Palermo ed i terreni vitati a 450-600 metri sul mare)nonché un evidente carattere familiare( donde il nome Alessandro) . L’azienda ha veduto l’evolversi generazionale della passione per il vino, divenuta tra il terzo ed il quarto livello della stirpe, fortemente attiva nella produzione di vitigni autoctoni ed internazionali, tra cui il Sauvignon blanc e, soprattutto, il Syrah, senza realizzare blend ma proponendo solo vini mono-varietali, approfittando di un clima quasi continentale, che consente un’importante escursione termica che dona una sentita intensità aromatica.
Il Kaid trae origini dal fatto che, durante la dominazione araba, il riferimento spirituale e politico del villaggio era chiamato capo , ossia Kaid, nome usato per più etichette dell’azienda di Camporeale, con il ruolo di perno centrale della produzione assegnato al Kaid Syrah.
La prima annata prospettata del Syrah è stata il 2016 che al naso regala una buona speziatura, pepe nero, tono floreale, ribes e mora, mentre il gusto denota un tannino vivo, scalpitante e persistentemente fresco , per un vino pronto a durare anche una decina d’anni e caratterizzato da 5 passaggi in legno.
Molto particolare l’annata 2014, definita da tutti l’annata del secolo in Sicilia, con l’uva che è stata più tempo in pianta e che apparentemente avrebbe potuto presentare un che di surmaturo, essendoci stata un’estate con temperature sopra i 40 gradi con conseguente situazione di stress della vigna, con esaltazione delle note più verdi, come il rosmarino. Lieti note balsamiche accompagnano un gusto setoso e polposo insieme ed un tannino vibrante, con un picco previsto nei tre, sei anni successivi.
L’ultima annata presentata, la 2013, ha avuto una gestazione particolare, con una forte pioggia iniziale che prediceva un vino aggressivo non bilanciato nell’immediato ma più equilibrato nel lungo periodo. Si avverte una spinta verso il terziario ( soprattutto cenere e sigaro), sparendo il fruttato a vantaggio di un lieve balsamico, con un tannino che si protende verso il finale.
Antonio Paolo Froio ha condotto per “Feudi principi di Butera” ( azienda con una grande presenza nei mercati internazionali) la masterclass denominata” Dalla tradizione all’innovazione: percorso sensoriale sul Nero D’Avola”. Froio ha sottolineato come il nero d’avola abbia avuto un periodo di grande splendore intorno agli anni duemila, per poi avvertire una diminuzione anche produttiva e avviare una sostanziale recente risalita , anche perché si tratta di un vitigno dalle enormi potenzialità, quasi una sorta di Pinot nero italiano. Inoltre le peculiari condizioni climatiche e territoriali sicule assegnano al palmite in esame un’acidità che consente anche una produzione di spumanti molto attraente, come sottolineato dall’enologo dell’azienda Feudi Principi di Butera, tanto da avvalersi di un terreno, a quota 330 metri sul livello del mare, molto fertile , che spinge dal punto di vista vegetativo con profumi molto particolari.
Del resto, il Nero d’avola si presenta come un vitigno che si evolve, ma pur sempre dalla storia antica, con le prime tracce risalenti al 1600 e , maggiormente sviluppatosi già a partire dal 1800.
Friolo ha proposto uno sparkling wine, il Neroluce, che al naso ha sciorinato trame di fiori e frutta bianca ed alla bocca un’acidità ed una mineralità spinta, definendosi come un vino che “pulisce”, sgrassante ed a tutto pasto, con alla base un metodo charmat medio8 non come il prosecco per cui è corto).
Usare un Nero d d’Avola per uno spumante bianco permette di far emergere delle peculiarità che probabilmente ideando un rosè non rilucerebbero a dovere. Il Nero d’Avola dell’azienda della provincia nissena non votato alla produzione legata alle bollicine si avvale di un terreno calcareo a 330 metri d’altezza, con un prodotto di 80 quintali per ettaro con cordone speronato potato a due gemme, con un esito sensoriale in bicchiere fatto olfattivamente da note di frutta rossa e da un tannino croccante e rotondo ed una struttura non invadente in bocca e figlio di una macerazione non troppo lunga, caratterizzandosi per l’assenza di sovramaturazione.
Il Deliella 2015 premier cru della casa vinicola, Nero d’Avola in purezza, si determina grazie ad una vendemmia scaglionata, movendo temporalmente dalla parte bianca , verso la più scura, con una selezione acino per acino, con passaggio in acciaio prima del legno in botti da 30-60 ettolitri, abolendo quindi l’uso della barrique per evitare uno scambio eccessivo con il legno e radicare maggiormente alle caratteristiche del territorio il prodotto finale, anche a cagione della poca plasticità del Nero d’Avola che assume configurazioni diverse in base alla zona di coltivazione. Il Deliella 2015 passa gradatamente dai primari e secondari ad esprimere i terziari, quali tabacco e cuoio, che si sviluppano più compiutamente nel tempo, proiettandosi fino ad una crescita nell’arco di 15 o 20 anni.
L’annata 2014 vede esaltarsi ulteriormente i terziari, con una verticalità al palato ed un tannino più evidente che la rendono più pronta come annata rispetto a quella del 2015 e degna di un panorama italico caratterizzato da 1500 vitigni, che concorrono sul piano internazionale anche con quelli francesi che sono solo 45 , a significare la straordinaria varietà di offerta italiana rispetto a competitors di grande lignaggio.
“Saia: la tipicità del Nero d’Avola del Val di Noto”, presentata da Alessandra Pagliaro per feudo Maccari, conclude il ciclo di masterclass. La casa vinicola, con vigneti tra Vendicari e Marzamemi, distesi su 200 ettari, produce ;tra gli altri, grillo , nero d’ Avola, tra cui proprio il Saia, il moscato di noto, per un volume complessivo di 250.000 bottiglie, il cui 85% rivolte al mercato estero ( in prevalenza USA, Canada e Germania).
Il Saia, 100% Nero d’Avola, esprime la tipicità della Val di Noto, grazie anche all’adozione del metodo ad alberello, importato durante il periodo greco in Sicilia ( a partire dall’ ottavo secolo a.c.) , per diverso tempo caduto in disuso e che poggia sull’idea di creare un “ombrello” che protegga i grappoli dai raggi solari troppo forti.
L’annata 2016 del Saia, etichetta che è solo una delle declinazioni del Nero d’Avola di questa azienda, sfruttando il suddetto metodo si è caratterizzata per rese basse di 4-5 grappoli per pianta ma qualitativamente importanti, con un terreno calcareo ed argilloso che trasfonde una grande mineralità e che permette, al naso, di cogliere sentori di frutta rossa, come ciliegia, prugna, mirto ed erbe aromatiche.
Tonneau (per il 90% del prodotto) e barrique coccolano il vino, mentre ,completando l’analisi gustativa, si avvertono il tabacco, il pellame ed il salmastro, per un vino il cui nome rende omaggio al legame con il territorio. “Saia”, infatti, è la canaletta di scolo, per collezionare le acque piovane per irrigare i campi ideata dagli arabi illo tempore, ad evidenziare come i vini siciliani traducano una storia di unica, millenaria ed inimitabile bellezza culturale ed eno-gastronomica.
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