di Fabio Cantarella, iena antimafia
“Fratello spero che riesci a scaricare tutte le pallottole su quel cesso che non deve vivere, brucia poi il biglietto”. Questa è solo una piccola parte del lungo pizzino che contiene le feroci parole del boss Orazio Finocchiaro contro il pubblico ministero della Dda di Catania, Pasquale Pacifico. A leggerlo nel corso della conferenza stampa, indetta a Messina, è il procuratore della Repubblica di Catania, Giovanni Salvi, che insieme al collega Guido Lo Forte, a capo della Procura di Messina, rivela che è stato l’ex collaboratore di giustizia, Giacomo Cosenza, a raccontare di essere stato incaricato da Finocchiaro di uccidere il magistrato etneo “reo” di aver smembrato il clan “Cappello” grazie a importanti operazioni come “Revenge”.
Lo stesso Giovanni Salvi ha confermato il particolare elogiando il serio, determinato e proficuo lavoro nel campo della lotta alla mafia portato avanti dal dott. Pacifico negli ultimi anni. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, in particolar modo del Comando provinciale dei carabinieri di Messina che ha seguito le indagini, i messaggi venivano recapitati in carcere grazie a un detenuto comune che faceva da postino tra Orazio Finocchiaro, in teoria sottoposto al duro regime del 41 bis, e gli esponenti del clan.
“Con questo attentato – ha svelato il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte – Orazio Finocchiaro voleva affermare il suo predominio all’interno del clan”. Il desiderio di vendetta del boss, come ha spiegato il procuratore di Catania Giovanni Salvi, “scaturisce dalle indagini dell’operazione Revenge che aveva sgominato il clan Cappello in lotta in quel momento con altri clan (specie i Santapaola, ndr) per il predominio nella città etnea. Con le sue indagini Pacifico aveva stravolto i loro piani. “Una perizia sui pizzini sequestrati – ha concluso Giovanni Salvi – ha accertato che si trattava della calligrafia di Orazio Finocchiaro”.
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