di Marco Iacona

Fiamme. Musumeci sbraita. Ai siciliani si scaldano le resistenze. «Incendi dolosi», fuoco amico insomma. Ogni anno la stessa storia. Covid o non Covid. Luglio non propriamente lieve, a dispetto di quella leggerezza cercata e voluta di cui la Sicilia è uno dei simboli. In estate, pare si digerisca e bene ogni fatto di cronaca, nera gialla rosa, ché nulla deve frapporsi tra noi (cioè voi, anzi loro) e il mare.

Ho nostalgia di aprile. Aprile il mese, non lo scrittore, per carità di Dio. Ricordate il fortunato incipit di quel fortunato volume? Uno di quelli che, ogni tanto, ci fanno pensare che il sud a qualcosa in fin dei conti serva? “Terroni” si intitolava. Cito a memoria (peraltro, in luglio la memoria va anch’essa in “vacanza”): “I piemontesi fecero ai meridionali quello che i nazisti fecero agli abitanti di Marzabotto”.

Aldo Cazzullo albese romanizzato, secondo il quale la resistenza è “unica”, reagì: una bella lotta. Prescindendo dal fatto che, oggi, il Piemonte è per siciliani, calabresi, campani ecc., quello che l’Italia è stata per gli albanesi, anzi di più (ma Aprile riproporrebbe la vecchia storia del paradiso in terra borbonica, delle ferrovie all’avanguardia più altre menate), e di fatto, il Piemonte cattivo esisterebbe solo nelle stanze virtuali dei polemisti in cerca di visibilità, interrompere la narrazione triste, di una triste vicenda, sul più “brutto”, rubo le parole a Fiorello-LaRussa, «non è da uomo».

Dopo i piemontesi ci pensarono i siciliani a concludere la vicenda triste, con lupare (anche bianche), attentati, guerre di mafia e, da un po’, con qualche fiammifero. Sì perché, lo sappiamo no? Gli incendi servono a far affari, a smuovere il mercato, a risvegliare interessi. E lì, in quella terra di morti – un inferno, appunto –, resta una sola guerra da combattere: quella tra cadaveri. Einstein diceva: la quarta guerra mondiale si combatterà con mazze e clave. Se fosse stato in Sicilia, l’avrebbe detta in un altro modo.

Cosa loro è, anzi fuoco loro.

 

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