Retroscena inediti di quanto sta accadendo nel “dietro le quinte” di questa “rivoluzionaria” campagna elettorale. Che disegna scenari antichi e trasformistici…
di Massimo Malerba
Incontri, a Catania, Elio Tagliaferro per strada e capisci subito che ha una voglia matta di aprirsi, di dire qualcosa. Cosa? “Mi candido alle regionali”. Tagliaferro, lombardiano che più lombardiano non si può (anche se tempo fa avrebbe avuto un “periodo di crisi”), un figlio in consiglio provinciale per l’Mpa, è una nostra vecchia conoscenza: fa parte di quella memorabile rassegna di galoppini di quartiere, dispensatori di “favori” e pacchi di pasta, immortalata in un servizio di Exit (La7) alla vigilia delle elezioni regionali del 2008. Come dire: “funzione sociale”, “sostegno al prossimo”, col patronato. Ovvero fabbriche di consenso, opifici di voti, da lì transita buona parte della disperazione di questa città. Ed è anche grazie a questi “cavalli di razza”, a questi dominatori incontrastati delle periferie catanesi come Tagliaferro, Mirenda e Tipo -noto per aver nascosto nel suo patronato un latitante del clan Santapaola- che Lombardo diventa presidente della regione sotterrando con un plebiscito Anna Finocchiaro. Impresa non titatica, per la verità, visto l'”avversario”. Fin qui la storia.
Ma torniamo ai giorni nostri, a Elio Tagliaferro. “Sì, mi candido alle regionali. Nella lista Crocetta”-rivela Tagliaferro al cronista mentre si allontana con un’altra sua vecchia conoscenza, Paolo Impellizzeri, già presidente per Forza Italia della seconda municipalità catanese, in quel del popolare quartiere di Picanello. La notizia, su due piedi, ti lascia a bocca aperta. Poi fai mente locale, metti il rewind e torni a quella conversazione casuale avuta qualche giorno prima in un bar di San Giorgio: “questo caffè è pagato” -dice un uomo alle mie spalle. Dietro di me c’è un’importante seconda linea lombardiana, un consigliere della X municipalità, in quota Mpa, che per comodità chiamerò Francesco. “Grazie del caffè. Ti candidi alle regionali?” -gli chiedo. “No”, mi risponde “punto alla riconferma nel quartiere. Come presidente”. E alla regione? “Sono sempre con Lombardo ma a Miccichè non lo voto, porto Crocetta”. Tu? Crocetta? E che c’entra? “Questo passa il governo”, taglia corto Francesco prima di salutarmi.
Poi porti avanti il nastro fino a ieri mattina. Su Repubblica Palermo c’è un titolo “bomba”: “Miccichè in soccorso di Crocetta, il patto dopo-voto agita la campagna”. Il sommario dell’articolo è persino più esplicito: “il leader di Grande Sud e Raffaele Lombardo avrebbero raggiunto un’intesa con Fini e Casini per ottenere posti in lista nelle prossime politiche. Nel patto è previsto anche il sostegno al candidato del Pd in caso di vittoria risicata nella corsa per Palazzo d’Orleans”. Non più voci o sensazioni, dunque, ma un disegno politico, messo nero su bianco su un giornale di area Pd, non ostile a Crocetta. Nel primo pomeriggio Claudio Fava denuncia l’inciucio e avverte: “gli elettori ve lo impediranno” Crocetta replica con un comunicato “zoppicante”: “Non c’è nessun accordo tra me e Miccichè”.
E così fino a sera quando, su Twitter, appare lo sfogo di Cateno De Luca, candidato presidente di un caravanserraglio che va da Sgarbi ai Forconi di Martino Morsello: “non chiuderò accordi con Crocetta perché mi ha confidato che Lombardo lo voterà e farà parte del governo”. I due si erano incontrati qualche settimana fa nel corso di un contestatissimo “summit” a Tusa, nell’albergo del “mecenate” Antonio Presti, per valutare possibili alleanze. Che in quell’occasione Crocetta si sia dato a qualche “confessione” di troppo? Crocetta non ha ancora smentito le gravi affermazioni di De Luca.
Poi c’è chi a questo patto ha voluto dare anche un colore, quello delle cravatte che Crocetta e Miccichè indossavano casualmente allo Sherbeth festival: l’arancione (vedi foto sopra). Ma questa è un’altra storia. Del genere fantasy.
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