La legge è legge. E va rispettata. Senza se e senza ma. In Italia, come è noto, esistono gli ordini professionali.
Medici, avvocati, ingegneri o notai, per esercitare la professione devono aver conseguito un titolo, superato degli esami ed effettuato l’iscrizione all’apposito albo. Insomma: non è possibile fare l’avvocato o il notaio, l’ingegnere o il medico, senza averne acquisito una abilitazione e provveduto all’iscrizione nell’apposito albo.
E’ chiaro dunque che non ci si può fregiare di un titolo che non si possiede. La stessa cosa dovrebbe valere per i giornalisti. Dovrebbe. Perché nei fatti questo mestiere lo esercita chiunque. E negli ultimi anni c’è stata una vera e propria deriva. Basta munirsi di penna e taccuino, registratore audio, fotocamera e microfono e si può esercitare indisturbati la professione e accedere anche nei palazzi che contano. A che serve dunque l’iscrizione all’albo e il tesserino professionale? E chi dovrebbe controllare? Certamente l’ordine dei giornalisti e l’assostampa che ne avrebbero oltre che il diritto anche il dovere. Ordine e sindacato dimostrerebbero così di avere a cuore la tutela dei giornalisti precari, disoccupati, cassintegrati e con contratti di solidarietà. C’è di più: far sentire la propria voce, in questo momento di crisi epocale per il giornalismo, sarebbe vitale. Se non ora quando?
E invece nulla. Silenzio. E allora, se si può fare il giornalista senza essere iscritto all’apposito albo tutti sono legittimati ad esercitare ogni tipo di professione. Sapete che c’è? Da domani faccio l’avvocato! Poi se non mi piace apro uno studio notarile!
La questione, che potrebbe sembrare, corporativistica è in realtà un problema serissimo. Ne va della salvaguardia della professione, della credibilità del lavoro giornalistico e di un settore che, giustamente, fa le pulci agli altri, ma è silente in casa propria. E l’abusivismo dilaga! Ma tutti zitti. Non sia mai…
Cari colleghi, quelli veri. Cosa ne pensate? Il dibattito è aperto.
p.s.
Ai fini della configurazione del reato di abusivo esercizio di una professione, previsto dall’art. 348 cod. pen., è irrilevante l’eventuale scopo di lucro e, in genere, qualsiasi movente di carattere privato.
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