DI MARCO BENANTI E IGNAZIO DE LUCA
C’è un’ossessione che aleggia sull’ordine dei giornalisti di Sicilia o magari solo su alcuni dei suoi componenti: l’immagine che si ripete in questo immaginario ha le forme sgraziate e gli odori “forti” di Marco Benanti da un lato e la barba lunga e la penna acuminata di Ignazio De Luca. Siamo noi i paranoici? Vediamo “fantasmi” ? Non proprio, ci sembra. Vediamo e scriviamo, come sempre facciamo, senza i rituali ipocriti delle caste e dei loro cortigiani/e. Registriamo gli eventi ed il loro significato: perché le concidenze ci possono esistere, ma quando sono troppe occorre portare rispetto all’Intelligenza.
Che impone una domanda: perché? Noi la risposta ce la siamo dati da tempo. E ogni giorno che passa i tenutari dell’ordine, che appaiono sulla stessa lunghezza d’onda di precisi gruppi di Potere, che rispondono alle logiche del vecchio blocco monopolista di Mario Ciancio, ci danno conferma di una nostra convinzione: chi non è “allineato” a chi comanda va colpito.
Su chi “non obbedisce” occorre fare ricerche, trovare “prove”, tirare fuori vecchie storie,imbastire improvvise “chiamate”, gridare alla “legalità violata”.Uno spaccato di vecchi metodi che il Potere utilizza per cercare di “mettere in una angolo” chi dissente, chi non sta “nel coro”, chi usa la sua testa, insomma chi, con limiti ed errori come capita agli umani, agisce con coscienza, facendo della propria coscienza –e non del Potere e della cortigianeria che lo circonda- il proprio punto di riferimento. Poi, c’è l’ altro mondo, quello di chi serve il Potere, chi fa conti e non il proprio dovere, chi insinua, chi tira il sasso e poi nasconde la mano: certo chi lo fa per tirare fuori uno stipendio con cui campare (non si sa quanto dignitosamente), c’è chi non ha nemmeno questo bisogno.
E questa varia umanità, che sa e non muove un dito, che vive nel “caldo” di una posizione ereditata e non conquistata, fa la figura peggiore: riuscirà a guardarsi allo specchio la mattina?
Strano vero che logiche del genere possano venire fuori da un mondo, come quello giornalistico e le sue “libere istituzioni” che –per sua essenza, per sua natura, per sua funzione storica- DEVE, ha l’ OBBLIGO PROFESSIONALE –e aggiungiamo noi- MORALE di controllare il Potere e non di fare il COMPARE del Potere. Con i suoi (del Potere) servitori. Invece, nella Sicilia di oggi siamo a questo: non è una novità, è vero, ma oggi la situazione per chi esercita in libertà –e non al guinzaglio- la professione di cronista prevede più che mai il rischio di finire sotto le “ossessioni” degli ordinatori del giornalismo siculo.
Noi, cari ordinatori, ne andiamo fieri: abbiamo verificato, infatti, che la “temperatura” è cominciata a salire quando non siamo saliti sul “carro vincente” del notabile di provincia Enzo Bianco, borioso e intollerante esponente della cultura dominante della vostra Italietta, quella mentalità che non sopporta i controlli della stampa. Ma preferisce l’applauso: una “democrazia” appiattita sullo share del consenso mediatico, sulla “macchina della propanda” adusa a trovate grottesche e sceneggiate in stile da “commedia all’italiana”.
Un esempio su tutti? I famosi 40 mila catanesi in piazza per il Capodanno del 2013, una balla che continua a fare ridere una città. Una trovata simbolica di un modo di approcciarsi del Palazzo alla società, in nome delle logiche di una segreteria politica trasferita nel maggiore ente di interesse pubblico di una città piena di problemi seri. Putroppo, il comune non è una segreteria politica, è un ENTE di PUBBLICO INTERESSE. E non è nemmeno uno stipendificio per “sistemare” persone alla ricerca di uno stipendio, invece, di un modo dignitoso di esercitare la professione giornalistica.
Ecco, noi abbiamo commesso il “grave errore” di raccontare un’altra città, non la città della propaganda. Lo riconosciamo: abbiamo raccontato e ancora oggi lo facciamo la città. Non passiamo le veline del Palazzo. Lo “confessiamo” : è proprio così. Per questo, in questo contesto di lavoro di inchiesta, abbiamo scoperchiato, in solitudine, la vergogna dell’ufficio stampa del comune di Catania: un groviglio di illegalità, di abusivismi, di sopraffazioni, che in tanti ormai conoscono, anche se non ne scrivono. Omertosamente.
Cari ordinatori, la vicenda dell’ufficio stampa del comune di Catania è diventata da tempo oggetto di barzellette, di battute da bar. Tanto è nota a tantissimi a Catania.
Questa è la verità. Vi capiamo, però: c’è un “alto papavero” che con ogni probabilità potrebbe cercare protezioni varie, quelle protezioni sociali che le “elitès” hanno sempre avuto nelle società di classe, nelle società arretrate come quella catanese, dove lo status sociale conta più del merito, dove le appartenenze corporative valgono molto ma molto di più delle capacità individuali.
Peccato per la “faccia” di questo ordine che l’ “alto papavero” sia il Presidente del Consiglio di Disciplina dello stesso ordine: si chiama Giuseppe Lazzaro Danzuso. Lo scandalo dell’ufficio stampa del comune di Catania è legato a questa figura: vi capiamo, è imbarazzante. Per noi è una notizia. Ed una cosa talmente pacchiana e grottesca, che merita non uno, ma cento articoli. Come abbiamo puntualmente fatto.
Siamo coscienti che denunciare i potenti, denunciare chi sta in alto, comporta “rischi”, diciamo magari straordinarie coincidenze: sappiamo che siamo probabilmente al centro dei pensieri di taluni di voi.
Sappiamo che essere giornalisti e non velinari comporta “rischi”: comporta il rimbaltamento magari dei ruoli. Ma noi andiamo avanti. E andremo avanti. Le intimidazioni, così come le querele, ci fanno solo l’effetto di aumentare il nostro impegno.
Ci dispiace veramente: quello che ci sta accadendo, ci induce a pensare solo una cosa: abbiamo ragione! E andremo avanti!
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