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Giornalismo&Uomini: ciao Mario!
Pubblicato il 28 Marzo 2016
Fu presidente dell’ordine dei giornalisti, ma ugualmente è stato un piacere averlo conosciuto
di iena fuori dalla chiesa marco benanti
Ciao Mario, allora domani ti vengo a salutare e poi, di corsa, me ne vado. Perché? Primo perché non mi piacciono le chiese e poi perché domani ti verranno a trovare gente che tu hai combattuto –a ragione- e che domani avrà il pelo (sullo stomaco), il fegato e la faccia di venire a trovarti.
Allora, scusami verrò per pochi minuti, poi andrò via, magari a fotografare qualcosa a Misterbianco, a cercare notizie. Ti lascerò con questi? Sì, d’altra parte per loro è normale: la loro vita è scandita da simili “prestazioni”, altrimenti non sarebbero loro. Del resto, mi pare di aver capito che hanno già cominciato: il “copione” di questa “umanità teatrante” è quello di sempre.
Loro sono sempre “nel giusto”, con i loro sguardi da “sacerdoti della correttezza”(fasulla), anche e soprattutto quando hanno torto marcio e dovrebbero magari coltivare oppurtini silenzi: ma l’abitudine è davvero cattiva maestra e quindi, vanno avanti con le loro “prestazioni”. Da costume femminile: gli uomini sono altra cosa.
Noi sappiamo chi sono, quanto pesano, quali “scelte di vita” li hanno portati costantemente dall’altra parte o contro rispetto al nostro cammino. Che da parte mia era cominciato negli anni Novanta o giù di lì: per me, come per tanti, è stato facile parlare con te. Non avevi il tratto “aristocratico-progressista” di certi “santoni” della categoria. Del resto, appartenevi a quell’Italia laica che è sempre stata minoranza –combattiva, ma sempre minoranza- dell’Italietta delle caste e delle “parrocchie politiche”. Di qua o di là, insomma: o con la “chiesa dc” o con la “chiesa pci”, il resto a fare…da contorno. Il “contorno” significa dire che bisognava chiudere la stagione dell’ordine dei giornalisti: ricordo di quante volte me lo hai ricordato. Tu, presidente dell’ordine per sei anni, lo avevi fatto. E in quelle foto della sua stanza preferita mi indicavi quell’immagine con Marco Pannella, uno dei simboli dell’Italia laica, dell’Italia delle libertà, che vive da decenni in “semiclandestinità”.
Di tempo ne è passato da allora: una messe di progetti, di ricordi, di aneddoti, di battaglie. Posso dire che il confronto con te è stato positivo, anche e soprattutto quando eravamo in disaccordo. La Catania che vedevamo era forse diversa, ma l’onestà intellettuale quella non ti veniva mai meno. Anche quando avevi torto. Come quando scoppiò il “Caso Catania” e un “pugno di pazzi” disse verità scomodissime –soprattutto per la sinistra sussieguosa e farisea- sulla Procura della Repubblica e il sistema di rapina sociale ai danni dei più deboli. Ma anche allora non ti sei tirato indietro: ricordo di una serata a “Cittàinsieme” a controbattere alle tesi degli “avversari”. Perché –per te, come per me- esistono “avversari”, non esistono “nemici” da abbattere con l’emarginazione, con la calunnia e la diffamazione: questo è lo “stile” dell’ Italietta delle caste e delle “parrocchie politiche”. L’Italietta che ancora comanda, o meglio pensa di comandare. Sulle macerie prodotte.
Con Mario Petrina uno poteva essere in disaccordo, anche in modo aspro, ma poteva, anzi era sicuro che era una disputa sulle idee, non sulla convenienza al femminile, sulla roba da conservare, sugli interessi di bottega, come è costume di quelli dell’ “italia migliore” (hanno il coraggio ancora di dirlo!). Di quelli, insomma, che quando arrivavi a Roma, ti ricordavano –sotto voce, sotto banco- le tue origini e le “necessarie” –secondo loro- “conseguenze”, per tentare la piccola diffamazione da “salotto perbene”.
Noi ridevamo di loro, come sempre abbiamo fatto: tu sicuro del fatto tuo, io sicuro della mia libertà. Che non produrrà mai uno straccio di carriera, ma resta il miglior antidoto per evitare di buttare via la propria identità, in una parola la propria vita.
Ora, Mario, vado via: a domani, per cinque minuti. A presto marco.
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