Giudiziaria, antimafia, “operazione En Plein”: 16 arresti dei carabinieri

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la comunicazione ufficiale:

“questa mattina, i Carabinieri del Comando Provinciale di Catania, coadiuvati in esecuzione da quelli di Brescia e collaborati dallo Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e dal Nucleo Elicotteri, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale etneo, su richiesta della locale Procura Distrettuale della Repubblica, nei confronti di 16 persone ritenute responsabili dei reati di associazione di tipo mafioso, omicidio, tentato omicidio.

I provvedimenti restrittivi scaturiscono dagli esiti dell’attività investigativa sviluppata dai Carabinieri del Reparto Operativo di Catania e della Compagnia di Paternò, sotto la direzione ed il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, a seguito di due gravi fatti di sangue verificatisi nell’estate del 2014.

Il 27 giugno 2014, alle prime ore del mattino, a Paternò, dei sicari esplodevano una serie di colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di LEANZA Salvatore, il quale rimaneva ucciso.

Il LEANZA era stato scarcerato qualche mese prima dopo avere scontato una lunga condanna per associazione mafiosa ed omicidi, tra i quali anche quello in danno di RAPISARDA Alfio, avvenuto nel 1980, ed era ritenuto elemento di vertice del sodalizio mafioso Alleruzzo, già operante su Paternò e contrapposto a quello dei Laudani.

Le indagini venivano da subito indirizzate nei confronti di RAPISARDA Salvatore, fratello del citato Alfio ed elemento di spicco del clan Laudani, il quale, subito dopo l’omicidio del LEANZA, aveva adottato cautele, quali quella di evitare di uscire da casa, tanto da gestire la sua attività di parcheggio di autoveicoli dalla propria abitazione, che consentivano di comprendere come egli temesse ripercussioni per la propria incolumità personale.

Alcune settimane dopo il suddetto omicidio, in data 15 luglio 2014, RAPISARDA Salvatore veniva tratto in arresto in esecuzione di un provvedimento di carcerazione per l’espiazione di un residuo pena e quindi associato presso la casa circondariale “Bicocca” di Catania, dove veniva avviato idoneo monitoraggio tecnico, tramite attività di intercettazione.

In data 30 luglio 2014, quindi, GIAMBLANCO Antonino, uomo di fiducia del defunto LEANZA, mentre si trovava alla guida della propria autovettura, veniva avvicinato da alcuni killer, i quali, dopo aver tentato invano di fermarne la corsa, esplodevano contro di lui numerosi colpi di arma da fuoco.

Il GIAMBLANCO, tuttavia, essendo riuscito a mettersi in fuga, rimaneva illeso.

Le risultanze delle investigazioni già in corso permettevano di comprendere da subito come i due episodi delittuosi fossero tra di loro strettamente collegati.

L’attività di indagine complessivamente svolta ha quindi consentito di ricostruire le strutture dei due gruppi mafiosi contrapposti operanti in Paternò, quello c.d. Morabito-Rapisarda e quello facente capo al deceduto Leanza Salvatore (quest’ultimo inserito nel più noto clan mafioso storicamente denominato Alleruzzo-Assinnata), entrambi rispettivamente considerati articolazioni locali del clan LAUDANI e della famiglia SANTAPAOLA.

Venivano, infatti, acquisiti gravi elementi indiziari in ordine alle dinamiche criminali che regolavano le condotte illecite dei citati sodalizi e che avevano portato a tali due gravi fatti di sangue, avendo il gruppo Morabito-Rapisarda posto in essere una strategia di vera e propria eliminazione del gruppo contrapposto.

Il G.I.P. presso il Tribunale di Catania, in accoglimento della prospettazione accusatoria formulata dal P.M., ha quindi ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico di RAPISARDA Salvatore, in qualità di mandante, in merito all’omicidio di LEANZA Salvatore, fatto che affondava le sue radici nella storia criminale di Paternò, insanguinata, tra gli anni ’70 e ’90, da una violenta faida tra i due gruppi mafiosi.

Proprio in quegli anni si erano contrapposti i clan ALLERUZZO-ASSINNATA (all’interno del quale militava LEANZA Salvatore) e MORABITO-RAPISARDA, ed in questo contesto erano maturati, tra gli altri, anche gli omicidi di RAPISARDA Alfio e di TILENNI SCAGLIONE Carmelo (fratello di Salvatore, oggi colpito da provvedimento restrittivo).

Alla sua scarcerazione LEANZA Salvatore aveva recuperato un ruolo di primo piano all’interno del clan ALLERUZZO-ASSINNATA, circondandosi di un gruppo di fedelissimi e formando così un proprio gruppo composto dagli odierni indagati GIAMBLANCO Antonino, FURNARI Rosario, TILENNI SCAGLIONE Giuseppe e TILENNI SCAGLIONE Salvatore (i quali sono chiamati a rispondere del delitto di cui all’art.416 bis c.p.), fatto questo che aveva rotto il già fragile equilibrio criminale venutosi a creare in quel territorio. 

Il successivo tentato omicidio di uno dei più stretti collaboratore del LEANZA, GIAMBLANCO Antonino, rientrava quindi in una strategia di completa eliminazione del gruppo di LEANZA Salvatore ed era stato concepito anche al fine di scongiurare eventuali azioni di vendetta nei confronti del clan rivale MORABITO-RAPISARDA.

Anche di tale episodio delittuoso è chiamato a rispondere RAPISARDA Salvatore, in concorso con il figlio Vincenzo Salvatore ed il sodale PECI Francesco, già tratto in arresto lo scorso 16 ottobre 2014 dai Carabinieri della Compagnia di Paternò perché in sua disponibilità venivano rinvenute numerose armi da fuoco, una delle quali, come è emerso dalle indagini scientifiche del RIS di Messina, era stata utilizzata proprio in occasione del tentato omicidio del GIAMBLANCO.

Tale importante rinvenimento era stato preceduto da un altro riscontro raccolto nel corso delle indagini, a riprova della estrema pericolosità dei due gruppi mafiosi contrapposti, vale a dire il sequestro di ulteriori armi da fuoco, questa volta ritenute in disponibilità del gruppo di LEANZA Salvatore, in quanto nascoste in un ovile di proprietà dell’indagato TILENNI SCAGLIONE Giuseppe, in Contrada Porrazzo di Paternò.

Il TILENNI SCAGLIONE veniva in tale circostanza tratto in arresto nella flagranza del reato di detenzione di armi da fuoco.

Di entrambi i fatti di sangue in parola si è autoaccusato, quale esecutore materiale,  MUSUMARRA Franco, il quale alcuni mesi dopo tali gravi episodi delittuosi, decideva di iniziare la sua collaborazione con l’A.G. rendendo dichiarazioni che costituiscono importanti ed ulteriori elementi di prova a carico degli indagati.

 

Gli arrestati odierni, tutti ristretti presso il carcere di Bicocca, saranno interrogati nei prossimi giorni.

 

Elenco degli arrestati:

 

  1. BARBAGALLO Antonino, classe 1976;
  2. FARINA Alessandro Giuseppe, classe 1985;
  3. FURNARI Rosario, classe 1978;
  4. GIAMBLANCO Antonino, classe 1965;
  5. MAGRO Antonio, classe 1975;
  6. MORABITO Vincenzo, classe 1960;
  7. PARENTI Giuseppe, classe 1982, già agli arresti domiciliari;
  8. PATTI Vincenzo, classe 1979;
  9. PECI Francesco,  classe 1977, già detenuto nel carcere di Siracusa;
  10. RAPISARDA Salvatore, classe 1955;
  11. RAPISARDA Vincenzo, classe 1988;
  12. SCALIA Sebastiano, classe 1974;
  13. SCALISI Pietro Giovanni, classe 1957, rintracciato a Brescia;
  14. SCIORTINO Angelo, classe 1974;
  15. TILENNI SCAGLIONE Giuseppe, classe 1976, già detenuto nel carcere di Caltagirone;
  16. TILENNI SCAGLIONE Salvatore, classe 1966.”
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Redazione Iene Siciliane

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