una terribile vicenda al vaglio del secondo grado…
di iena giudiziariaI giudici della Corte d’Assise d’Appello di Catania hanno riaperto l’istruttoria dibattimentale, ammettendo una richiesta della Difesa dell’imputato Antonino Portale, condannato in primo grado, in abbreviato, a trent’anni per la morte della badante Lucia Cosentino, uccisa a Catania il 16 gennaio gennaio 2011.Il 29 ottobre prossimo, la Corte darà l’incarico ad un perito che dovrà stabilire se il paio di pantaloni che Portale indossava la sera del 15 gennaio 2011 e finiti in una ripresa video presso il bar “La Tavernetta” sia lo stesso di quello su cui la “Scientifica” ha trovato una macchia di sangue. Secondo la Difesa, con l’avv. Miriam Condorelli, che oggi è intervenuta a lungo in aula, si tratterebbe della “prova regina”. Oggi, in aula, per la Procura Generale era presente il sostituto procuratore generale Mariella Ledda, parte civile i familiari con l’avv. Ivan Pietro Maravigna, che si sono opposti alle richieste della Difesa, delle quali due- riguardanti la datazione della morte e le celle d’aggancio delle telefonate- sono state respinte dai giudici. La Corte ha richiesto alla Procura Generale di depositare i tabulati telematici dell’utenza telefonica della signora accudita dalla vittima, in quanto, acquisiti con urgenza durante le indagini preliminari, non sono state poi inserite all’interno del fascicolo del dibattimento.”Il vero assassino è fuori –aveva dichiarato ai cronisti l’avv. Condorelli poco dopo la sentenza di primo grdo- in carcere resta un innocente. Portale è stato condannato senza che siano stati analizzati gli elementi di prova trovati nella stanza dove Lucia Cosentino fu assassinata il 16 gennaio e cioè il Dna di un’impronta palmare trovata nella stanza, un capello per il quale la Procura non aveva disposto un esame mitocondriale. Non abbiamo una comparazione fra il dna rilevato dal capello e quello dell’impronta palmare. L’impronta e il capello non appartengono al Portale, questa è una certezza. E poi ancora la macchia trovata sullo stipite interno dell’appartamento non è stata analizzata. Non è stato altresì analizzato il reperto n. 1, cioè una strisciata di sangue proveniente dalle mani dell’assassino lasciata sull’interruttore della luce all’interno della stanza dove è stata la vittima. “. La Difesa ha sempre supposto che il vero assassino sia un mancino, in quanto -riferisce sempre la Difesa- le lesioni repertate sul cranio della vittima sono soltanto sulla parte destra del cranio.
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