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Giudiziaria catanese: storia di Palmiro, venti anni per ottenere giustizia. E tre per un conteggio
Pubblicato il 30 Settembre 2013
Cose che capitano sotto il vulcano, storie di tutti i giorni, di persone che non fanno audience…
di iena giudiziaria marco benantiA Catania, al Tribunale di Catania, in poco tempo –con un’accellerazione formidabile in estate- è arrivato il trasloco da via Verona a via Guardia della Carvana. Da 350 mila euro l’anno a circa 80o mila euro l’anno di locazione. In aule sotto il livello della strada e con l’archivio nel vano garage, trasformato in deposito.Invece, Palmiro Ficarra, macchinista ferroviere dal 10 gennaio 1972 al 31 maggio 1995, che da venti anni attende dallo Stato il riconoscimento della sua invalidità contratta in servizio, dovrà aspettare fino al 2016 per vedere definitivamente riconosciuto il suo diritto. Che è stato già sancito con tanto di sentenza. Manca solo il conteggio dei soldi che deve riscuotere. Una questione ragioneristica, il merito della causa è già definito. E per fare questa operazione, il Tribunale gli ha dato appuntamento –a lui e al suo legale, l’avv. Massimo Del Popolo Cristaldi- a fra tre anni.La sua vicenda è burocraticamente rinviata: come vivrà è affar d’altra specie, evidentemente. Da venti anni.Mese dopo mese, giorno dopo giorno, il suo –è come tanti altri- solo un fascicolo che passa di cancelleria in cancelleria. Un numero in mezzo ad altri numeri. Carne, sangue, fame, nervi, in una parola la vita reale, quella che non ha niente a che fare con le carte: questo non riguarda la “giustizia”.Eppure, già in primo grado nel 1998 (con il vecchio rito) il pretore gli aveva dato ragione, riconoscendogli, sulla base anche di una consulenza tecnica d’ufficio, le infermità di ipoacusia e di patologia artrosica, con ricorrenza dalla domanda in via amministrativa, cioè dal 1992! Nel 2011 era, poi, arrivata la conferma della sentenza davanti al Tribunale di Catania, con la condanna alle spese dell’appellante Ferrovie dello Stato.Finito? Manco per idea. Ecco arrivare il ricorso per Cassazione e l’accoglimento per vizio di motivazione –nel gennaio del 2004- delle ragioni delle Ferrovie. Risultato? Causa in Corte d’Appello a Messina: nel 2007 ecco l’accoglimento parziale, dopo una consulenza tecnica d’ufficio, della domanda di Ficarra, con riconoscimento della patologia artrosica (ma ad altra categoria prevista nella normativa in materia).
Tutto bene quel che finisce bene? Neanche per sogno: perché Ficarra ha tentato anche di recuperare le somme che gli spettano sollecitando le Ferrovie dello Stato e anche tramite ricorso per decreto ingiuntivo. Risultato? Respinto: ci vuole un giudizio, anche se il giudizio è già stato definito. Ma questa è la giustizia italiana, o meglio è anche questo.In questi venti anni Ficarra avrebbe potuto scegliere “altro” per continuare a vivere. Non l’ha fatto. Malgrado questo Stato e la sua “giustizia”. Basta poco per essere davvero “eroi”senza finire sulla grande stampa, magari con la scorta al seguito.
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