Giudiziaria, Catania, “comizio” all’ospedale “Garibaldi”: è andata bene, li hanno “soltanto” multati. La brutta figura di politici e il malcostume da commedia all’italiana


Pubblicato il 18 Luglio 2016

di iena giudiziaria marco benanti

Se ne sono usciti con una multa (2 mila euro): finisce così dopo 5 anni ( e ad otto anni dal fatto, con in mezzo due sospensioni per due eccezioni di incostituzionalità della legge, entrambe respinte) il processo per il “comizio” all’ospedale “Garibaldi” vecchio di Catania per il sottosegretario di Stato Giuseppe Castiglione, per l’ex sindaco e senatore Raffaele Stancanelli e per l’ex consigliere comunale Francesco Navarria.  Il Tribunale di Catania, con il giudice monocratico Letizia Buscarino, ha sentenziato anche l’assoluzione (perché il fatto non sussiste) per l’ipotesi di turbamento di pubblico servizio. E ha condannati i tre ad un risarcimento di ottomila euro. La multa è per la violazione della legge elettorale.

Non c’è niente da festeggiare: tre uomini con responsabilità pubbliche hanno fatto, al di là dell’esito processuale, una brutta figura. Ed è una brutta figura figlia di una cultura dominante a Catania (e non solo), secondo la quale il “pubblico” è sempre un “figlio minore” rispetto al “privato”, ai “propri interessi”.

Così, la sede di una pubblica amministrazione, la sala Dusmet dell’ospedale Garibaldi di Catania, durante il periodo di ‘garanzia’ elettorale, cioè entro 45 giorni dal voto, fu usata per un riunione elettorale: tutto accadde il 5 giugno del 2008. C’è stato chi ha denunciato, chi ha fatto il cittadino non l’abitante –non tutti si girano dall’altra parte, anche a Catania- chi è finito processo e dopo anni si è arrivati al verdetto di primo grado. 

I fatti risalgono al 5 giugno 2008, poche settimane prima del voto per le comunali e le provinciali a Catania: Raffaele Stancanelli era candidato a sindaco, Giuseppe Castiglione a Presidente della Provincia, Francesco Navarria era candidato per il Pdl.

La Procura della Repubblica, con il Pm Alessandro La Rosa, aveva avanzato la richiesta per tutti di quattro mesi di reclusione per violazione della legge elettorale e turbamento di pubblico servizio.

Si chiude così il primo atto del processo, in attesa delle motivazioni (ci vorranno 90 giorni). Al di là del dato giudiziario, resta l’ennesima vicenda di malcostume politico, a cui sottende una cultura che non tutela il “pubblico”, visto sempre come qualcosa di lontano, di second’ordine.

La storia di Catania è tutta in questa cultura: non a caso, Pippo Fava scrisse una volta che “Catania è fondata sull’interesse privato”. Ma lo scriveva 40 anni fa. Anche in questo si misura il fallimento di una città e della sua “classe dirigente”.

 

 

 


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