GIUDIZIARIA ED ECOLOGIA, AVV. VITO PIRRONE: LEGALITA’ AMBIENTE E RECUPERO SOCIALE DEI DETENUTI


Pubblicato il 13 Luglio 2014

Pubblichiamo relazione del legale (nella foto d’archivio con l’avv. Salvo Torrisi) tenuta in un recente incontro al   Parco dell’Etna, organizzato dal Presidente del Parco  Marisa Mazzaglia, presente l’Assessore Regionale al Territorio ed Ambiente Mariarita Sgarlata…

“Oggi  siamo  qua per parlare di  Ambente e legalità,che dovrebbe essere binomio di una stessa simmetrica; invece si realizza  il paradosso dell’ossimoro.

Ambiente  e legalità  è un’occasione  preziosa  per riflettere  su una questione di straordinaria attualità per il nostro Paese, e dire per l’intero Pianeta.

Si  tratta dell’integrità del nostro ecosistema.

Invero, per troppo tempo l’ambiente ed i reati ad esso connessi sono stati  considerati come fatti minori.

Senza considerare  che il fatturato della eco-mafia solo in Italia sarebbe di circa 16 miliardi di euro l’anno.

Ma, se questa è la realtà, la tutela dell’ambiente può rappreesentare una importante leva di sviluppo.  Gli interventi dovranno prevedere misure  volte alla conservazione ed al miglioramento del patrimonio ambientale del Paese.

La tutela dell’ambiente è necessaria per i cittadini, ed è anche una opportunità di sviluppo e di riconversione che dobbiamo saper cogliere.

 Se  le mafie  operano deturpando l’ambiente, la nostra pigrizia ci rende apatici e responsabili.

Si  devono liberare spazi in cui la criminalità agisce indisturbata per farli diventare spazi di legalità.

Dalla  legalità alla legalità.

Ed è proprio in tale ottica  che si possono, e  devono essere sviluppati  programmi volti afavorire il coinvolgimento dei detenuti in attività lavorative e di pubblica utilità. Quali il  recupero ambientale, come strumento di riabilitazione sociale ed allo stesso tempo, come messaggio di legalità e rispetto  di norme e regole.

 In  tale contesto il lavoro  riveste un ruolo di centralità nel percorso tratta mentale  finalizzato  al reinserimento sociale del detenuto.

Proprio  attraverso l’impegno miurato, il detenuto può emanciparsi e riappropriarsi di valori  etici e del senso di legalità smarriti.

Il  lavoro, non è solo il più valido strumento  tratta mentale,  ma è anche un ‘efficace risorsa  per l’acquisizione  di conoscenze e competenze  per la fase post-detentiva, con ricadute positive sulla recidiva.

E’  accertato –da fonte dello stesso ministero della giustizia-  che nei detenuti  che vengono avviati al lavoro si abbatte fortemente il tasso di recidiva,  sino ad essere prossimo allo zero!

 Ritengo che il percorso rieducativo – trattamentale del detenuto  debba iniziare  con l’ingresso del soggetto nell’istituto del soggetto nell’istituto. Purtroppo, dobbiamo registrare, che  con l’attuale, notorio e drammatico sovraffollamento delle carceri non  si può programmare.

 All’ingresso del Carcere di Valentia, c’ è scritto : “qui finisce il reato e inizia l’uomo”.

Tale  principio è scolpito nell’art. 27 della nostra Costituzione.”

 Di  contro,  è necessario che la società sia disposta ad accogliere chi ha sbagliato, facendoli sentire uomini e cittadini utili alla comunità.

Solo  così si può dare concreta attuazione all’art . 27:

–          recuperando il reo alla comunità,

–          evitando che possa ancora delinquere,

–          ridurre i rischi di fenomeni recidivanti.

Va  rivisto il senso del carcere,

                   il tempo del carcere,

                    e il tempo nel carcere.

Oggi, proprio questo tempo è un tempo vuoto e privo di senso, che va valorizzato.

Oggi la punizione prevale sul trattamento.

La persona deve essere messa in grado di elaborare un nuovo progetto di vita, ritrovando  la dignità di vivere un ‘esistenza proiettata verso la legalità.

Invero, ancor oggi l’istituto della pena carceraria continua ad essere iscritta in una logica retributiva  scarsamente rieducativa.

Vanno valorizzate  le misure alternative alla detenzione, considerando la Kantiana centralità della persona.

Provocatoriamente direi:

–          è ancora necessario il carcere?

–           quale utilità, al di fuori  della sua funzione simbolica?

Si   ritiene il carcere fuori della società, invero è nella società.

Si  chiede una sicurezza sociale,

ma una vera sicurezza sociale  non può  prescindere da una politica tratta mentale del detenuto.

 Oggi, il detenuto che esce dal carcere, proprio nel momento di maggiore debolezza e fragilità viene abbandonato.

(Le carceri  ci fanno pensare alle Città invisibili di Calvino)

 Con la legge 381 del 1991 era stato  previsto  il reinserimento lavorativo di persone c.d. savantaggiate  (quali fra l’altro ex tossicodipendenti, detenuti o internati, o condannati ammessi a misure alternative, o condannati ammessi al lavoro esterno ex  art. 21 legge 354/754)  prevedendo sgravi  fiscali e contributivi  per i datori di lavoro.

Per  favorire il lavoro dei detenuti  erano stati  previsti  forme contrattuali  flessibili, ovvero capaci di modellarsi  secondo le esdigenze  del lavoratore o del datore di lavoro.

Sono  state previste, altresì, disposizioni per agevolare  la costituzione di cooperative di ex detenuti per il reinserimento lavorativo e sociale.

 La c.d. legge Smuraglia n. 193 del 2000, ha previsto specifiche norme per la  costituzione  e lo svolgimento di rapporti di  lavoro, nonché per l’assunzione della qualità di socio di cooperative di ex detenuti, disponendo,  fra l’altro, che in tali casi  non si applicano le incapacità derivanti da con danne penali o civili.

Mi riferisco all’incapacità di agire, per la quale il detenuto (o ex detenuto)  avrebbe potuto trovarsi nell’ipotesi che gli fosse stata comminata la pena accessoria  dell’interdizione legale;  per cui ai fini dell’ammissione al lavoro durante l’esecuzione della pena, o dopo nell’inserimento come socio di una cooperativa, o sottoscrizione  di un contratto di lavoro, il  detenuto ha piena capacità di agire.

Proprio per evitare  l’effetto negativo derivante dalla permanenza in carcere, il legislatore  ha tentato di  incoraggiare il privato  consentendo forme contrattuali, convenzioni e condizioni di favore  per le cooperative sociali.

La legge Smuraglia si pone in attuazione delle Regole minime per il trattamento dei detenuti, emanati dall’ONU nel 1955 e  le successive Regole penitenziarie Europee del 1972.

 Le  cooperative previste dalla legge Smuraglia  possono accedere ad un  Fondo Sociale  Europeo.

Gli sgravi fiscali di cui alla legge Smuraglia, prevedono un credito mensile per l’impresa  per ogni lavoratore  assunto, a condizione che:

–          assumano quale  lavoratori detenuti, o ex detenuti, ammessi al lavoro esterno;

–          svolgano attività di formazione a detenuti, con previsione  che al termine  della formazione è prevista l’assunzione;

–            svolgano attività di formazione mirata a  fornire professionalità a detenuti in attività lavorative  gestite in proprio dall’Amministrazione penitenziaria.

Le agevolazioni sono cumulabili con altri benefici.

 I benefici per le imprese continueranno per un periodo successivo alla cessazione  dello stato di detenzione del soggetto assunto.

Sono previsti altresì sgravi contributivi, con la riduzione delle aliquote  della contribuzione per l’assicurazione obbligatoria.

 Le leggi 9 agosto 2013 n. 94 e 99 ed  il decreto legge 31 agosto 2013 n.101 hanno apportato sostanziali modifiche alla legge Smuraglia, ampliando la platea dei beneficiari  ed aumentando le risorse finanziarie a disposizione e le agevolazioni  fiscali  vengono estesi anche ai detenuti semiliberi.

E’ stato  aumento il periodo di agevolazioni fiscali rispetto la precedente previsione per i detenuti assunti  alla cessazione dello stato  di detenzione, ed analogamente alle agevolazioni fiscali successivi alla scarcerazione si estendono le agevolazioni contributive.

La legge Smuraglia  prevede inoltre espressamente che le Amministrazioni penitenziarie stipulino convenzioni con soggetti pubblici o privati o cooperative sociali, alfine di fornire ai detenuti opportunità di lavoro.

Si deve premettere che dall’Ord. penitenziario (legge354/75), sia i detenuti condannati in esecuzione, che quelli in regime di custodia cautelare possono essere ammessi al lavoro esterno dell’istituto, salvo  che si tratti  di persone condannate per delitti previsti dall’art. 4 bis ord. Penitenz. (considerati  di un certo spesso criminale, e dunque di notevole pericolosità) l’ammissione al lavoro deve  essere inserito in un programma trattamentale.

 In tal senso diversi progetti sono stati attuati dai Comuni o enti pubblici, stipulando  convenzioni con il D.A.P. :

 – Comune di Firenze,   un  progetto per la riqualificazione di una sponda dell’Arno, provvedendo altresì  alla differenziazione dei rifiuti  raccolti. Il lavoro si attua in regima di permesso concesso dal Magistrato di Sorveglianza, per portare avanti un percorso formativo legato all’educazione ambientale dei detenuti.

-Bari,  raccolta differenziata e manutenzione giardini. Si parte da una forma sperimentale che ha coinvolto pochi detenuti, estendendo successivamente a più detenuti a bassa pericolosità.

– Asti  , “coltivare l’ambiente”, coltivazioni di apprezzamenti di terreni che diventeranno opportunità di lavoro.

-Castelvetrano, agricoltura sociale.

–  Valle della Lucania,  recupero di alcune aree degradate del Cilento;  

così pure nel Parco del Conero, un programma di recupero ambientale.

-Brescia,  programma : pulire la città dai graffiti che la deturpano.

– Novara, recupero patrimonio ambientale.idem Ravenna.

– Roma, progetto RAS, recupero ambientale sociale, per sostenere il recupero dei detenuti impiegati nella manutenzione di zone verdi ed aree archeologiche della capitale.

Roma Rebibbia, all’interno del carcere  si è attivato un laboratorio per la separazione del materiale raccolto in Comuni della provincia di Roma.

In due anni sono stati recuperati ben 120 tonnellate di acciaio, che verrà rilavorato.

-programma RAEE: bologna, Ferrara, Forlì,  reinserimento dei detenuti, tutelando l’ambiente. Progetto finanziato dalla Regione  con fondo sociale europeo.

I detenuti sono impegnati in laboratori sia all’interno dell’istituto che all’esterno, per lo smaltimento dei rifiuti in maniera differenziata.

– Milano, sostenibilità e sistema carcerario: Riciclo per ridurre l’impatto ambientale.

Tali progetti con il coinvolgimento dei detenuti favoriscono condotti  virtuose e socialmente  apprezzabili partendo dal carcere.

Ciò dimosatra che si può invertire la rotta, con il lavoro e l’impegno sociale.

 Non esiste solo il carcere.

Ma devono essere valutati e  privilegiati  modelli alternativi per il reinserimento sociale.

 Non credo che sia una battaglia facile.

Ma è una battaglia di ragione e di civiltà, per la quale abbiamo  il dovere di impegnarci.

E’ necessario un ponte tra società e carcere.

 

E’ una strada difficile che va affrontata, con Keroac “dobbiamo andare  e non fermarci finchè  non siamo arrivati”. “

 


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