di iena anti antimafiosa Marco Benanti (nella foto l’avv. Carmelo Peluso, difensore di Ciancio, con i cronisti alla fine dell’udienza)
Il clima è stato quello di sempre a Catania: un’atmosfera da assemblea di condominio. Un’ambientazione strettamente legata, quindi, ad un fatto privato, insomma. Del resto, questa città riconosce valore solo a fatti privatistici. Una monocultura, quella del “privato sempre e comunque”, che nella pratica quotidiana mette insieme tutte le componenti del “sistema Catania”, quell’intreccio di politica, economia, giustizia, società, cultura che ogni tanto si cambia di abito e mostra presunti “cambiamenti”. Di facciata. In realtà, non cambia nulla. Esempio? Quello che il “sistema Catania” sta realizzando da due anni, dal ritorno a Palazzo degli Elefanti di Enzo Bianco.
Così, stamane, al Palazzaccio di cosiddetta giustizia, in piazza Verga, c’era il solito via e vai: poi, ogni tanto, un avvocato ti chiedeva: “perché c’è ressa là davanti?”
Il riferimento era all’aula Gip, dove un gruppetti di avvocati e cronisti attendevano l’inizio di un’udienza: quale? Quella riguardante un uomo che ha influito su circa 40 anni di vita politica, economica, sociale e culturale di Catania e in generale della Sicilia. Insomma, bazzecole. L’editore-direttore del quotidiano “La Sicilia”, ex presidente della Fieg, Mario Ciancio Sanfilippo, ad inizio del prossimo anno, sarà chiamato a rispondere, in dibattimento, ad un’accusa infamante: concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo comincerà, tranne clamorose novità in sede di udienza preliminare: oggi, davanti al Gup Gaetana Bernabò Distefano, si sono presentati i legali di Ciancio, l’avvocato Carmelo Peluso e Francesco Colotti dello Studio dell’avvocato Giulia Bongiorno. Proprio lei, il legale che difese Giulio Andreotti. Secondo indiscrezioni, al suo posto poteva esserci il prof. Franco Coppi: ma così non è stato, forse perché Coppi difende già l’ex Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo? Sembrerebbe proprio così. Non a caso, le posizioni dei due “ex big” si intrecciano: basta leggere la sentenza di primo grado, emessa nel febbraio del 2014 dal Gup Marina Rizza, di condanna dell’ex governatore per rendersi conto del livello di connessioni con talune operazioni dell’editore-direttore.
Un “pezzo” del “sistema Catania” ha fatto trapelare, con la solita tecnica volta ad operazione di facciata, una malcelata soddisfazione per la “caduta” dei due “ex Dei”: in realtà, la città non sta vivendo alcuna “rivoluzione”. Il gioco delle “facce da cambiare” è funzionale a mantenere lo status quo: l’ennesima “operazione da manuale” del centrosinistra, ovvero la finzione al Potere, la garanzia, di fatto, che niente cambierà.
Oggi Catania è ancor più di prima una “preda” del suo gattopardesco “sistema di Potere”: tradotto, politica-economia-giustizia-informazione-società-cultura, come prima più di prima, a sostenersi l’uno con l’altro. Con volti appena appena cambiati. L’ “altra città”, quella senza servizi, senza scuole, senza strutture, in una parola senza futuro, resta ai margini. Grazie anche e soprattutto ad un’ “opposizione” di sinistra che, escludendo alcune voci, è assolutamente funzionale e inserita in questo sistema.
Le parole del Presidente del Tribunale dei Minorenni Giambattista Scidà sul tradimento della sinistra e degli intellettuali restano di un’attualità sconvolgente.
Nemmeno il “procuratore straniero” ha cambiato molto: del resto, non aveva la forza. Né probabilmente poteva andare diversamente.
Sarà un caso, ma Catania sta vivendo, con il suo solito infinito cinismo, anche questa presunta “vicenda rivoluzionaria”, ovvero quanto sta accadendo a Mario Ciancio. Attorno a questi fatti, si registrano, non a caso,i soliti silenzi: chi dovrebbe alzare la voce, oggi, in città, non lo fa. I “disobbiedienti” sono pochi. L’antimafia mafiosa di regime parla d’altro. La tecnica migliore per non approfondire, per ritenersi sempre e comunque “assolta”.
E allora passa come se nulla fosse il dato che ci vorranno quattro mesi (prossima udienza 14 ottobre) per valutare tre costituzioni di parte civile: da parte degli eredi del comissiario di polizia Beppe Montana (ucciso dalla mafia nel 1985), di “Sos Impresa”, associazione antiracket e dell’ordine dei giornalisti di Sicilia.
L’ordine dei giornalisti siciliani, con l’ l’avvocato Dario Pastore, ha agito per “tutelare la propria immagine e difendere l’integrità del lavoro dei colleghi e l’autonomia e l’indipendenza dell’informazione”. Valori assolutamente da preservare, non solo da oggi. Ma non è mai troppo tardi. Negli anni del monopolio assoluto di Ciancio, in quei decenni, questi valori –ci pare di ricordare- abbiano vissuto un periodo travagliato. Diciamo così.
Dario e Girlando Montana, fratelli del commissario Beppe, secondo quanto riferito dall’avvocato Goffredo D’Antona, contestano la mancata pubblicazione di un necrologio sul quotidiano La Sicilia, nel trigesimo della morte, che sarebbe stato rifiutato perché conteneva l’affermazione “con rinnovato disprezzo alla mafia e ai suoi anonimi sostenitori”.
“Sos impresa”, con l’avvocato Fausto Maria Amato, ha ritenuto, se confermate le tesi dell’accusa “colpita la libertà di iniziativa economica”. Da parte loro, i legali dell’editore hanno evidenziato che “è giusto che le valutazioni le faccia il giudice: noi saremo felici di dimostrare anche alle eventuali parti civili, e in generale a tutti, l’estraneità alle accuse di Ciancio”.
Ora, è tempo di mare. In autunno, se ne riparlerà. Ma sempre senza esagerare. E senza coinvolgere troppe persone. Così, per mantenere le “buone abitudini”.
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