Giudiziaria, morte al Maas: anche la Procura Generale impugna la sentenza di primo grado


Pubblicato il 25 Luglio 2015

Sviluppi sulla tragedia del 3 ottobre 2013

di iena giudiziaria

E’ un caso che fa discutere. E tanto. Perché non solo i familiari della vittima non si danno pace per l’esito del processo di primo grado, ma non è facile ascoltare ancora oggi critiche a quanto deciso l’ 11 febbraio scorso dal Gup del Tribunale di Catania Marina Rizza. Due anni e mezzo per eccesso di legittima difesa: così si è concluso il dibattimento in prima istanza per la morte di Giuseppe Giuffrida 21 anni, colpito mortalmente, il 3 ottobre 2013, dalla pistola della guardia giurata del Maas (Mercato Agro Alimetnare) Graziano Longo Minnolo, 35 anni. Il ragazzo spirò il giorno dopo al “Vittorio Emanuele” di Catania. 

Al centro della tragedia una rissa scoppiata tra Giuffrida e un altro suo fratello da una parte, che lavoravano in una delle aziende ortofrutticole, e alcune guardie giurate poste alle sbarre per controllare gli accessi al Mercato. Dietro la lite ci sarebbe stato il diniego da parte dei vigiliantes di fare entrare i due fratelli all’interno in quanto il pass era scaduto.

Il Pm Angelo Brugaletta aveva chiesto 14 anni di reclusione per omicidio volontario. Ed è proprio la formulazione giuridica dell’Accusa su cui ruotano gli appelli che sono “piovuti” sulla sentenza.

Non è un caso, che la stessa è stata impugnata, oltre che dai familiari della vittima, costituitisi parte civile con gli avvocati Giuseppe Lipera, Grazia Coco, Claudia Branciforti e Salvatore Cavallaro, dalla Procura della Repubblica con il Pm Angelo Brugaletta e dalla Procura Generale con il sostituto procuratore generale Gaetano Siscaro.

Nelle quattro pagine di “dichiarazioni di appello” il Pm Brugaletta elenca i motivi dell’impugnazione, premettendo che il giudice di primo grado aveva modificato il titolo di reato rispetto a quello contestato riqualificandolo in omicidio colposo derivato da eccesso colposo in legittima difesa. Per Brugaletta non sarebbe suffragata dalle evidenze probatorie l’affermazione del Gip contenuta nelle motivazioni della sentenza secondo la quale “l’aggressione violenta da parte dei due fratelli Giuffrida non si sarebbe mai interrotta”. “In realtà – scrive Brugaletta – al minuto 4.26 del filmato di video sorveglianza, si osserva come, dopo la violenta colluttazione tra i fratelli Giuffrida e l’altra guardia giurata, la rissa appare terminata, tanto che si possono osservare i due fratelli raccogliere i loro vestiti”.

A quel punto- ad avviso di  Brugaletta – è scattata la rabbia dei due che hanno inveito contro l’imputato e come gesto di “stizza e sfogo” si sono scagliati con rabbia contro il distributore di bevande, ma “si tratta di aggressione alle cose” – scrive il pm – “e solo dopo riappare nelle immagini Longo Minnolo che spara a distanza ravvicinata (un metro) contro Giuffrida”. Per Brugaletta non ci sarebbero i presupposti per dire che la decisione “dell’imputato di utilizzare l’arma con quelle modalità possa rientrare nei limiti della scriminante della legittima difesa”. Anche perchè, evidenzia il magistrato, i due fratelli “erano disarmati”.

Il Pg Gaetano Siscaro ha altresì contestato le risultanze della sentenza di primo grado: “dalla lettura della sentenza impugnata, nella rigorosa rassegna delle evidenze probatorie fatta in apertura, si evincono alcuni dati dichiarativi e fattuali che risultano del tutto inconciliabili con la ricostruzione che la stessa sentenza opera, questa volta in modo niente affatto rigoroso e coerente alle premesse, nella seconda.

Afferma, infatti, l’imputato, nella sintesi fedele delle sue dichiarazioni riportata in sentenza:

“in tale contesto mi sono avvicinato di qualche metro impugnando l’arma con la mano destra, cercando di convincerli a calmarsi altrimenti avremmo chiamato le Forze di Polizia. Nonostante i continui ammonimenti uno di essi mi veniva incontro…una volta a meno di un metro dalla mia persona, preso dal panico, ho esploso il secondo colpo di pistola ferendo il soggetto,” (sent. imp. pag. 6)”

Continua Siscaro nel suo ricorso: “dalle parole dell’imputato, quindi, si evince che:

1)È l’imputato, pistola in pugno, pochi istanti prima dell’esplosione del colpo mortale, ad andare verso i due Giuffrida per primo e non viceversa.

2)Nella circostanza i due Giuffrida sono disarmati.

3) Il colpo fu esploso a meno di un metro.

4)L’imputato non afferma di avere indirizzato, o di avere avuto intenzione di indirizzare, il colpo verso il basso.

La ripresa video conferma in modo inoppugnabile che fu l’imputato a dirigersi per prima verso i Giuffrida e non viceversa, per come riferito nella stessa sentenza che riporta le sequenze del video:

“I due si dirigono, quindi, quasi contestualmente verso la zona non inquadrata, in direzione opposta alla vettura che si trova ancora in sosta con gli sportelli aperti ai di là della sbarra di accesso, venendo però raggiunti dal Longo Minnolo che a questo punto esplode un colpo di pistola contro Giuffrida Giuseppe Antony, impugnando l’arma con braccio ed avambraccio ad angolo retto e dirigendo la stessa dall’alto verso il basso.” (sent. imp. pag. 8).

Al netto dell’affermazione “dirigendo la stessa dall’alto verso il basso”, che esprime un giudizio e non un dato di fatto emergente dalla visione del filmato, dal quale di contro risulta un braccio ed avambraccio ad angolo retto; e che comunque poco o nulla significa in assoluto, imputato e ripresa conclamano che fu proprio l’imputato ad andare arma in pugno verso i Giuffrida e non viceversa.

Nessuna aggressione in atto, quindi, nessuna minaccia attuale di aggressione. Piuttosto una sfida, pistola in pugno, che culmina con l’esplosione pressoché immediata del colpo mortale.”

Precisa il Pg Siscaro:

“nessun evento esterno, d’altra parte, di alcuna natura, a disturbare l’esplosione del colpo nella coordinazione tra volizione ed esecuzione da parte dell’agente.

Nella ricostruzione della dinamica dello sparo mortale operata dal Primo Giudice le risultanze appena esposte, sulla scorta della disamina della sentenza impugnata, delle evidenze probatorie vengono letteralmente stravolte, con conseguente insuperabile contraddittorietà dell’impianto motivazionale…”

Cosa conclude il magistrato della Procura Generale?

“Il travisamento delle risultanze, delle stesse parole dell’imputato e perfino di quelle dei consulente del P.M., almeno in parte, non potrebbe essere più vistoso:

1) vengono rovesciate risultanze positive;

2) taciute altre risultanze offerte dagli atti;

3) affermati dati fattuali e tecnici che non risultano da alcuna evidenza probatoria. In estrema sintesi:

a) è l’imputato armato subito prima dello sparo che va verso i Giuffrida e non viceversa;

b) l’imputato non mira verso il basso;

c) si tace dalla distanza di sparo che, a detta dello stesso imputato, è inferiore ad un metro; ciò che rende irrilevante la minima inclinazione alto-basso della traiettoria del colpo rilevata dal consulente del P.M.;

d) si riporta solo a metà il giudizio del Consulente predetto sulla vitalità della zona del corpo attinta;

e) si tace della non attualità di un’aggressione, anche a livello di intenzione, resa evidente dalla videoripresa;

f) si tace del fatto che i due Giuffrida fossero disarmati;

g) si tace dell’assenza assoluta di elementi esterni di disturbo nella esecuzione dello sparo.

Le evidenze probatorie genuine e complessive, per come ricostruite nella prima parte della sentenza e sulla scorta delle sole fonti insospettabili, sia perché portatrici di interesse contrario, imputato, sia perché fredde risultanze documentali, videoriprese, conclamano, per un verso, la non attualità dell’aggressione, nel profilo reale e nel profilo ragionevolmente putativo; per altro verso, la volontà dell’imputato di porre fine al diverbio ed allo scontro con le maniere forti alzando unilateralmente il livello dello scontro stesso con atteggiamento inequivocabile: andare incontro ai due Giuffrida con l’arma in pugno ed esplodere senza soluzione di continuo un colpo ad altezza d’uomo, a meno di un metro, contro uno di essi.

La causale è evidente, forse anche comprensibile dal punto di vista umano, ma penalmente inequivocabile: un atto di iattante rivendicazione di autorità; se si vuole provocato, consumato anche a costo di uccidere.”

Per cui la Procura Generale, nel suo ricorso, ritiene che:

“non c’è spazio, pertanto, alla scriminante della legittima difesa, né reale né putativa….

Si chiede che la Corte di Assise di Appello, in riforma della sentenza impugnata,
voglia dichiarare l’imputato colpevole di omicidio volontario nei termini di cui all’originaria contestazione e condannarlo alla pena che sarà specificata all’udienza dal rappresentante della Pubblica Accusa.”

 

 

 


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