GIUDIZIARIA, SENTENZA RAFFAELE LOMBARDO, MAFIE SICULE/DEDUTTIVE: PALERMO (CIANCIO) “CHIAMA” CATANIA (LOMBARDO)


Pubblicato il 26 Agosto 2014

COSA VIENE FUORI DALLA LETTURA DI 330 PAGINE DI MOTIVAZIONI: PRIMA PUNTATA

di iena delle grandi scenografie

 

“…Si è in precedenza evidenziato come, nel gestire la conflittualità tra il Ciancio Sanfilippo e gli imprenditori o le società vicini alla famiglia catanese di “Cosa Nostra”, il Lombardo abbia sempre privilegiato gli interessi del primo, e ciò malgrado i rapporti collaborativi da lui intrattenuti con gli esponenti di maggiore rilievo della “famiglia”. Si è altresì rappresentato come, per risolvere i contrasti insorti nella gestione dell’affare di contrada Cardinale, Campanella Francesco, esponente di rilievo di “Cosa Nostra” palermitana, avesse organizzato un incontro tra l’imprenditore Marussig, titolare della società che aveva presentato il relativo progetto, da realizzarsi sul terreno del Ciancio, e l’imputato. Si è infine rilevato come sia per l’affare di contrada Cardinale, sia per l’operazione del Pigno, la società titolare di ognuno dei due progetti annoverasse tra i suoi soci, in entrambi i casi, un soggetto vicino a “Cosa Nostra” palermitana (segnatamente lo stesso Marussig nel primo ed il cugino di Tommaso Cannella nel secondo caso). Tali elementi, valutati congiuntamente, consentono di ritenere, con un elevato coefficiente di probabilità, che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio, presentando egli uno spessore criminale, derivantegli, in via mediata dalla sua contiguità con l’associazione de quo, di rilievo superiore a quello proprio della “famiglia” etnea.

Ne discende allora che il Ciancio medesimo, avvalendosi della contiguità a “Cosa Nostra” di area palermitana,  ha apportato un contributo concreto, effettivo e “duraturo” alla “famiglia” catanese, consentendo agli imprenditori “amici” di aggiudicarsi lavori di rilievo presso cantieri da lui avviati, e, conseguentemente, assicurando alle casse dell’associazione i lucrosi ricavi derivanti dalle somme da costoro  corrisposte per la “messa a posto” dei cantieri medesimi. Appare pertanto necessario, ai sensi dell’art. 331 c.p.p, disporre la trasmissione degli atti al P.M. per le valutazioni di competenza in ordine alla posizione di Ciancio Sanfilippo Mario, atteso che, da tutti gli elementi acquisiti all’odierno giudizio, emerge una complessiva situazione fattuale alla cui stregua può configurarsi il concorso dello stesso nel reato in esame, posto in essere in favore di “Cosa Nostra” etnea, ai sensi dell’art.110-461bis c.p….”

E’ questo probabilmente uno dei passaggi più salienti delle motivazioni –rese note in questi giorni- della sentenza con cui il Gup del Tribunale di Catania Marina Rizza ha condannato, il 19 febbraio scorso, l’ex presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo a sei anni e otto mesi di reclusione per concorso esterno all’associazione mafiosa. Una “passaggio” che può ben dirsi “storico” non fosse che perché tratteggia a tinte foschissime la figura del “re dell’editoria” sicula Mario Ciancio, già presidente della Fieg e vicepresidente dell’Ansa (attualmente ne è consigliere d’amministrazione). Che dalla sentenza viene trattato alla stregua di un esponente a cui non si dice no e al quale Lombardo è sostanzialmente sottoposto. Il tutto alla luce di supposte “carature mafiose” –diciamo così- diverse: superiori quelle dell’editore-direttore de “La Sicilia”. Che, a commento della sentenza, ha diffuso una “nota al vetriolo”: non priva –ad una lettura attenta- di probabili “messaggi”?

(“Le valutazioni del Gup che ha condannato il Presidente Lombardo affrontano temi e argomenti concernenti la mia persona già noti da tempo al Procuratore della Repubblica di Catania” dichiara l’editore Mario Cianco Sanfilippo attraverso i suoi legali.

“Sorprende la gravità di una valutazione in ordine alla posizione di una persona estranea al processo e che non ha potuto certamente interloquire con il giudice per fornire dati e notizie che avrebbero determinato una valutazione di diverso tenore. Sarebbe stato fornito infatti ampio materiale documentale da cui rilevare il possesso dei miei terreni da oltre quarant’anni, circostanza che confligge con l’ipotesi di acquisti effettuati per lucrare lauti guadagni in combutta con ambienti mafiosi”.

“Non intendo subire, però, alcuna condanna senza giudizio e sono indignato per essere stato indicato come persona vicina ad ambienti mafiosi. Ho dato mandato ai miei avvocati di affrontare immediatamente i temi sollevati dal Gup con l’unico interlocutore possibile, il Procuratore della Repubblica di Catania il quale certamente non ha bisogno di un giudice che gli dica cosa fare e al quale intendo affidare la mia persona, la mia famiglia e il futuro delle mie aziende”.)

Del resto, al centro delle supposte “contiguità” mafiose ci sono i soci e relative presunte “vicinanze” o parentele. Un dato fondamentale.

E’ scritto ancora in sentenza, in riferimento alla vicenda “Safab”, un investimento immobiliare per i militari americani, sul quale durante il dibattimento è emerso da un lato una presunta volontà favorevole di Lombardo smentita poi dagl investigatori del Ros dei carabinieri. Bene, secondo la decisione del Gup Lombardo, sempre al servizio di fatto di Ciancio, avrebbe simulato “…un atteggiamento solo apparentemente collaborativo, sia pure tramite il fratello Angelo….” Alla fine a prevalere sarebbero stati gli interessi dell’editore-direttore per altro tipo di progetto concorrenziale alla Safab. E tutto grazie a Lombardo: Raffaele o Angelo?  Già, perché sul ruolo dei due (sarebbero la stessa cosa? Oppure due personalità politche “autonome”?), la sentenza appare fornire versioni contraddittorie:  si passa da stralci della conversazione, a commento della legge regionale che apriva le porte alla “Tenutella”, del 31 ottobre 2007 fra l’ingegnere capo della Provincia Matteo Zapparrata e l’amministratore delegato della “Tecnis” Concetto Bosco( Zapparrata: “…Cristaudo è il deputato che c’è dietro tutto…e poi… Cristaudo quello di Forza Italia e poi l’avrà aiutato sicuramente Angelo Lombardo…”) alle considerazioni dello stesso giudice estensore della sentenza –a proposito della attendibilità del “pentito” Eugenio Sturiale- in relazione al rapporto della presunta aggressione subita dal fratello di Lombardo Angelo, che, in sostanza, sarebbe potuta valere logicamente come rivolta appunto al più noto Raffaele; bene, il Gup  afferma che:  “…atteso che la riferita esistenza di rapporti autonomamente intrattenuti da Lombardo Angelo con esponenti della criminalità organizzata e l’attività politica svolta da Lombardo medesimo svolta separatamemente dal più celebre fratello(sia pure nell’ambito dello stesso movimento)…”

Versione uno o versione due, insomma? Alla stessa stregua, si potrebbe pensare di confondersi quando c’è da accertare –sulla base delle parole del “pentito” Paolo Mirabile in riferimento allo zio Alfio- chi fosse quel “politico” che avrebbe dovuto risolvere i problemi de “La Tenutella”, l’affarone del centro commerciale di Misterbianco: Raffaele Lombardo o Giovanni Cristaudo? O tutti e due? In momenti diversi? O in momenti antecedenti?

D’altra parte, c’è sempre da affrontare bene, con decine di pagine,  i supposti rapporti fra Raffaele Lombardo e il parcheggio Sanzio a Catania  infatti, il relativo procedimento penale è finito con un’assoluzione generale. E Lombardo non è stato nemmeno sentito come testimone. Insomma, un ruolo fondamentale. Una situazione generale che si ripropone per altri presunti casi di interessamento, per tanti lavori e personaggi che sarebbe stati legati all’ex presidente, ma per i quali non si trova il riscontro. Ma, insomma, la mafia avrebbe “puntato” su una sorta di “cavallo vincente”, ma poi questo che cosa avrebbe dato –in concreto, documentalmente- in cambio?

In questo tipo di scenario, magari, s’attaglia bene il “disvelamento” dell’episodio, narrato dal “pentito” Santo La Causa, che lo aveva saputo da tale Puglisi, il quale, a sua volta, lo aveva conosciuto da Maugeri(poi morto), di un “summit” nella casa di campagna di Lombardo. A “svelare” il “mistero” del summit arrivano le parole intercettate fra i mafiosi Mirabile e La Rocca: “là” in campagna, ovviamente in casa di Lombardo. Insomma, “con linguaggio assolutamente ermetico”, con “assoluta riservatezza”, si capisce perfettamente il riferimento all’episodio.

Altra passaggio importante, o meglio “storico”, visto il rilievo dato dato da molti mezzi di informazione indipendente, è il seguente: quando Raffaele Lombardo andò a fare visita –per supposti motivi elettorali- al boss Rosario Di Dio (personaggio politico conosciuto pressocchè all’universo mondo in Sicilia Orientale)? Durante il dibattimento era venuto fuori una prima data: europee del 2004, la notte prima del voto (ma dai tabulati telefonici non risulta). Dalla sentenza, invece, si viene a sapere che Lombardo è andato a chiedere i voti a Di Dio (ipse dixit) quando? Nel maggio del 2001. Per le regionali.

Tornando indietro, si direbbe, si capisce meglio la realtà: infatti, alla luce della dichiarazione in sentenza di inattendibilità del “pentito” Gaetano D’Aquino, magari è più chiaro il motivo –proprio queste dichiarazioni con relativa aggravante mafiosa contestata dalla Procura- che ha portato al passaggio da un processo per violazione della legge elettorale (quello che si teneva davanti al giudice monocratico Michele Fichera) ad un processo per mafia. Dettagli.

Dimenticavamo: l’inattendibilità di D’Aquino ha significato, fra l’altro, anche l’archiviazione per Alessandro Porto, che il “pentito” aveva chiamato in causa per una presunta vicenda di cooperative molto sociali. Porto, dopo l’Mpa, ha continuato il suo impegno politico e sociale come capogruppo in consiglio comunale di “con Bianco Per Catania”. Sempre brillante. La vita va avanti, con nuove prospettive. Alla prossima puntata.

 

 

 

 


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