Memoria storica racconta che…
di iena anti antimafiosa Marco Benanti
Tutti a difendere il Tar di Catania, “minacciato” di estinzione. Politica, avvocatura, societàcivile, consumatori, “testate della legalità” e tanta altra varia umanità, sinceramente infervorati per la tutela dei valori costituzionali della (loro) giustizia. Una sorta di “sollevazione popolare”. Sembra quasi di essere tornati ai tempi in cui la magistratura, brandendo la Costituzione (costantemente violata dentro i Palazzi di giustizia) protestava contro talune misure del governo Berlusconi. Coincidenza.
Ma c’è anche la mafia che ha parlato del Tar. E lo ha fatto in un’occasione importante. Quale? Il processo per lo scandalo nel nuovo ospedale “Garibaldi” recentemente conclusosi in Cassazione (alla fine, dopo assoluzioni e prescrizioni, hanno pagato in pochissimi e su chi ha pagato ci torneremo presto)l’ennesima occasione mancata per smascherare il “sistema di Potere” dominante a Catania.
Anni fa, accadde anche questo: si era ancora in primo grado, all’udienza del 23 febbraio del 2007 e la Procura della Repubblica produsse i verbali di un collaboratore di giustizia di rango, Maurizio Di Gati, un “pezzo da novanta” della mafia agrigentina. Ecco cosa, fra l’altro, ha dichiarato Di Gati: ”…I catanesi –racconta Di Gati- parteggiavano per la impresa Romagnoli del Nord. Lì sappiamo che la gara si doveva rifare e Mirenna (imprenditore, mafioso, determinante con le sue “rivelazioni” per il procedimento, ndr) disse che al Tar avevano le mani giuste per far vincere l’appalto alla Ditta che dicevano loro…” Al riguardo, il Pm chiede: e che tipo di mani sono dentro al Tar? Di Gati risponde: “E non lo so….”. Il Pm continua: “Abbiamo le mani al Tar” e il collaboratore replica: “Abbiamo le mani al Tar e possiamo fare vincere l’impresa che diciamo noi…Questo lo diceva Giuseppe Mirenna che uno che ne capiva delle varie imprese e dei vari…e dei vari sistemi per fare le gare…”.
CHI E’ DI GATI
Nato il 7 ottobre del 1966 a Racalmuto, in provincia di Agrigento, inserito nella lista dei latitanti più pericolosi, Maurizio Di Gati era ricercato dal 1999 per associazione mafiosa, quando fu arrestato dai carabinieri, con un blitz, la notte del 25 novembre scorso, in una abitazione del villaggio Mosé, a pochi chilometri da Agrigento.
Di Gati è ritenuto essere stato già il reggente provinciale di Cosa nostra ad Agrigento: il suo posto sarebbe stato preso, per volere di Bernardo Provengano, dal boss Giuseppe Falzone, latitante da anni. La storia di Di Gati è quella di tanti “picciotti”: aveva cominciato poco più che bambino come apprendista nel salone da barba nella piazza di Racalmuto, il paese nativo anche di Leonardo Sciascia. La sera, come altri ragazzi, frequentava i bar del corso. Racalmuto era a quei tempi un paese di mafia tranquillo: un vecchio capo bastone teneva a bada un gruppo di uomini d’onore. Nel 1991, però, venne freddato il vecchio boss. Nel silenzio erano cresciuti i picciotti della “Stidda”, una fazione dissidente di Cosa Nostra. Nel mese di luglio del 1991, cambiò anche la vita dell’apprendista barbiere. Una sera d’estate, i killer della “Stidda” arrivarono in auto: fu una carneficina. A terra restarono quattro persone. Tra i morti: Diego Di Gati, 36 anni, fratello maggiore di Maurizio. La vita per Maurizio Di Gati, a 25 anni, cambiò definitivamente. Cosa Nostra sconfisse i nemici. Maurizio Di Gati diventerà presto una stella nel firmamento delle cosche: un personaggio di spicco, in grado di occuparsi di affari e strategie d’alto livello. Non a caso, quando nell’agosto del 2003, i killer uccisero Carmelo Milioti a Favara, i magistrati ipotizzarono che l’omicidio fosse soprattutto un avvertimento per Di Gati da parte di altri latitanti che avrebbero aspirato al posto di capomafia, come Giuseppe Falsone di Campobello di Licata (Ag), che, secondo quanto riferito da Nino Giuffrè, aveva protestato presso Provenzano per la scelta di Di Gati.
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