Giustizia a Catania, uccidere guidando: parlano le parti civili


Pubblicato il 12 Novembre 2012

Nuova udienza del processo di secondo grado per la morte della giovane Sonia Sicari.

Pubblichiamo tratta dal profilo facebook “Giustizia per Sonia” la foto di Diego Pappalardo. Lo facciamo, senza alcuna animosità, soltanto per ragioni di giustizia, in una città in cui ogni giorno, da decenni, vengono sbattuti, sul giornale ufficiale della “città perbene”, ragazzini dei quartieri popolari per reati molto meno gravi. Lo facciamo per ragioni di equità, perchè non accada più.

di iena giudiziaria, Marco Benanti

Fu omicidio volontario? Quello che, sentenza di primo grado alla mano, sembrava essere un dato acquisito, è diventato, in appello, oggetto di nuova valutazione. E di dubbio sull’effettiva connotazione giuridica. E’ quanto sta avvendo, nel processo di secondo grado, davanti ai giudici della Corte d’Assise d’Appello (Presidente Antonino Maiorana, a latere Elisabetta Messina) per una vicenda terribile: una ragazza, Sonia Sicari, rimasta uccisa in un incidente stradale, avvenuto il 24 gennaio 2009, causato da un giovane della “Catania bene”, Diego Pappalardo, alla guida di un’auto di grossa cilindrata. Guidata a folle velocità in pieno centro a Catania. In primo grado, il Tribunale, condannando l’imputato, ha riconosciuto l’omicidio volontario. Una sentenza storica.

Oggi, hanno parlato le Parti Civili, con i loro legali: è stata richiesta, in alcuni casi, la conferma dell’omicidio volontario, in un altro è stata sostenuto la tesi dell’omicidio preterintenzionale. Il 16 gennaio parlerà la Difesa di Pappalardo, con l’avv. Franco Passanisi che, qualche mese fa, ha sostituito l’avv. Carmelo Peluso. Qualche mese fa, la Pubblica Accusa, con il sostituto procuratore generale Mariella Ledda, ha chiesto sei anni per omicidio colposo aggravato dall’evento.

Nel frattempo, l’imputato ha provveduto a risarcire la famiglia della vittima e ha pagato una provvisionale alle altre parti civili, così come disposto dalla sentenza di primo grado. Ha dichiarato l’avv. Mario Savio Grasso, legale della famiglia della vittima: “alla famiglia Sicari non interessa il quantum della pena ma è grave che non passi il principio che trattasi di omicidio volontario bensì di omicidio colposo sebbene aggravato dall’evento. Ciò infatti non serve da deterrente ad altri giovani che si potranno mettere in macchina drogati o alcolizzati sapendo che non rischieranno di essere passibili di omicidio volontario. Si auspica che la Corte d’Assise d’Appello, nella più assoluta serenità, possa rubricare quanto accaduto in omicidio volontario come già sancito in primo grado, affinchè passi un messaggio di avvertimento cioè che chi si mette alla guida sotto effetto di alcool o di droga accetti il rischio di rispondere eventualmente di omicidio volontario”.

Si celebra un processo che ha un valore al di là del merito di questo caso tragico. In generale, si tratta di affermare un principio, una volta per tutte: che quando ci si mette al volante bisogna avere coscienza delle proprie azioni, in particolare dei rischi per la vita altrui. Senza facili giustificazionismi. Insomma, prima di tutto responsabilità verso gli altri e verso sé stessi. Una questione di grande impatto sociale ed umano, quindi, che ha conosciuto fatti terribili, come la morte di Sonia Sicari, appena ventunenne, deceduta il 24 gennaio del 2009 in un incidente stradale provocato dal giovane della “Catania bene” Diego Pappalardo, che, alla guida della sua Mercedes, ubriaco e sotto l’effetto di stupefacenti, andando a folle velocità e dopo avere anche forzato un posto di blocco dei carabinieri, si scontrò con una Ford Fiesta provocando la morte di Sonia e il ferimento di cinque giovani.

Il Gup Laura Benanti, con il rito abbreviato, lo ha condannato a dieci anni e quattro mesi di reclusione: con una sentenza “storica” per Catania e la Sicilia è stato riconosciuto l’omicidio volontario. Nessuno potrà restituire Sonia ai suoi cari ma indubbiamente la sentenza è stato un momento fondamentale per richiamare tutti alle proprie responsabilità, come ha sottolineato più volte l’avv. Mario Savio Grasso.


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