Un caso che abbiamo seguito due anni fa, e ora arrivano gli effetti dell’ingiusta detenzione(nella foto l’ing. Khalzanova)
di iena giudiziaria marco benanti
Nel luglio del 2013, era stata assolta -perché il fatto non sussiste- dal Tribunale di Catania. L’accusa? Avrebbe provato a sbarazzarsi del marito, per motivi di eredità. Come? Tentando di soffocarlo nel sonno con un cuscino! E invece dei 15 anni di condanna richiesti dalla Pubblica Accusa, era arrivata l’assoluzione del Tribunale, presieduto da Alba Sammartino.
Ora, sono giunte a maturazione le conseguenze di questo procedimento penale piuttosto surreale (come non pochi altri prodotti da questa giustizia): lo Stato dovrà risarcire con circa 38 mila euro Elena Khalzanova, 59, ingegnere, cittadina russa, ex direttore fabbrica marina militare sovietica ma dedita a lavori saltuari in patria nostra, difesa dall’avv. Eleonora Baratta.
Così ha deciso la terza sezione penale della Corte d’Appello di Catania (Presidente Carolina Tafuri, a latere Giuliana Fichera e Eliana Zumbo). Per la Corte 18 giorni di galera e 286 di “domiciliari” valgono poco meno di 40 mila euro.
L’avv. Baratta, contenta comunque del risultato dal momento che non viene sovente riconosciuto alcunché alle vittime di malagiustizia, aveva chiesto un risarcimento maggiore, anche alla luce dei patimenti morali e fisici subiti dalla donna (che era incorsa anche nell’aggravamento di una già allarmante patologia, che per i giudici non è stato ritenuto conseguenza dello stato detentivo).
Ma la Corte –come da ordinanza conclusiva del procedimento- ritenuto “che l’istanza di riparazione debba essere accolta, non emergendo profili di dolo o colpa grave in capo alla ricorrente, che abbiano dato causa alla custodia cautelare subita ed al suo mantenimento…” lo ha concesso nei termini indicati. Questo del possibile “dolo o colpa” è il tema di indagine dei giudici chiamati a decidere su un’istanza di riparazione per ingiusta detenzione.
Ma a leggere la decisione si resta piuttosto basiti. Le dichiarazioni contro la donna venivano, infatti, solo dalla presunta parte offesa (il marito paramedico);
ebbene i giudici della Corte d’Appello scrivono che “tali dichiarazioni tuttavia sono state approfondite nel corso della istruttoria dibattimentale e in esito a plurime escussioni sono state ritenute dal Tribunale di Catania incostanti, incoerenti e contraddittorie e come tali non meritevoli di credito.”
E ricordando quanto emerso sull’operato dei carabinieri che indagavano aggiungono: “…tuttavia, giova rilevare che nella motivazione della sentenza di dà atto dell’impropria valutazione da parte dei militari del contegno tenuto dalla Khalzanova Elena al momento del loro intervento, ritenuto come “strano”, tanto da aver fatto loro propendere per una richiesta di TSO poi rifiutato…”
Noi di ienesicule il 18 luglio 2013, il giorno dell’assoluzione, avevamo anche scritto: “Il caso, per presunte violazioni dei diritti della cittadina straniera durante le fasi delle indagini, è stato seguito dal Consolato generale della Federazione russa a Palermo. E cosa era accaduto? Di fronte all’accusa rivolta a lei dal marito, i carabinieri erano andati a prelevarla dichiarandola in stato di fermo, senza che la donna potesse capirne le ragioni. E, come ha sottolineato l’avv. Baratta, alla donna non era stato permesso, prima di andare al processo, di essere interrogata alla presenza di un interprete per spiegare cosa l’era successo. Garantismo all’italiana? Alla fine, niente “maschicidio” tentato. Assoluzione!” Ed ecco oggi ingiusta detenzione femminile.”
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