di iena assonnata marco benanti Preso dalle sue quotidiane “direttrici di vita” (il libretto degli assegni e il santino di Sant’Agata) il catanese”sperto” forse non vede alcune cose. Alcune cose evidenti, palesi, e anche un po’ ridicole. Quelle che accadono a Palazzo e nell’amministrazione pubblica. Malgrado la “visione onirica-mediatica”, Catania continua ad essere una “città […]
Giustizia catanese: devastante sentenza per Sebastiano Scuto. “Il Re dei supermercati” di Sicilia ora è solo. E lancia messaggi, senza fare nomi
Pubblicato il 19 Aprile 2013
Considerazioni “fuori luogo” al termine del secondo grado di un processo che è stato -anche se seguito da pochi- il processo ad una città e ad un sistema…di iena giudiziaria Marco Benanti
Il “Re dei supermercati” di Sicilia non è più tale. E si vede: la “corte” -di politici, di imprenditori, di professionisti, di questuanti di vario tipo- che un tempo lo omaggiava non c’è più. Anche i Palazzi che contano sembrano lontani. E non solo fisicamente. Catania, con il suo infinito cinismo, in pochi minuti ti porta alle stelle -se gli interessi- e poi -se ti va male- a terra. Dove non ti conosce più nessuno. O quasi.
Ma non perde la dignità: Sebastiano Scuto, un uomo dall’intelligenza rapida e quanto mai pragmatica, non urla come fece dopo la sentenza di primo grado tre anni fa. Stesso mese aprile. Stavolta, mantiene la calma, di fronte ad una sentenza molto più pesante di quella del 2010, anche se appare provato. Atmosfera di quasi incredulità o smarrimento dei suoi legali, i prof. Guido Ziccone e Giovanni Grasso.
E lui, Scuto quasi quasi dice cose che i suoi avvocati gli hanno detto di non dire. “I miei avvocati non vogliono che io parli di quello che è successo in questo processo. Qualcuno lo sa perché io sono in questo procedimento: per il ‘caso Catania’ e perché io non ho voluto parlare di persone che non conosco. E qualcuno mi voleva obbligare a parlare di persone che non conosco. Non posso più dire altro”.
A chi si riferiva? Chi sa ha già colto. Ad occhio e croce dovrebbe trattarsi di qualche “personaggio” di “peso”. Che magari forse porta la toga? Chissà.
Scuto, con accanto i familiari, la moglie Rita Spina e il figlio Salvatore, guarda i cronisti: la maggior parte forse non coglie il “passaggio”. Altri sì, come altri ancora nell’aula dove poco prima i giudici della prima sezione penale lo hanno condannato, facendo proprie in larga parte le richieste dell’Accusa, con il sostituto procuratore Gaetano Siscaro (andato via subito), a 12 anni per mafia, accogliendo anche l’ipotesi dei collegamenti mafiosi palermitani, l’ ipotesi dell’Accusa della “grande spartizione” mafiosa della Despar, fra area occidentale e area orientale (accusa da cui Scuto era stato assolto in primo grado). Resta l’assoluzione per l’accusa di estorsione. Confermata, invece, l’assoluzione già decisa in primo grado per l’ex maresciallo dei carabinieri Orazio Castro.
E disponendo, alla fine, la confisca di tutto il patrimonio, un “fiume” di denaro, centinaia e centinaia di milioni di euro. L’ “Aligrup”, la società-madre, fondata da Scuto, vive il dramma dei suoi dipendenti: ora lo Stato è chiamato a fare la sua parte fino in fondo. Altrimenti, il rischio dietro l’angolo è di sentire dire che “la mafia funziona meglio, dà lavoro”. Anche se Scuto non accetta di sentirsi dare del mafioso. Lui -ha sempre raccontato- è semmai una vittima della mafia. Un estorto.
Comunque, dopo quindici anni di un procedimento dove è accaduto di tutto e di più, in meno di due minuti il Presidente della Corte d’Appello Ignazio Santangelo (nelle foto in alto e in basso) “decreta” -almeno sul piano del merito- la fine di una vicenda tutta catanese. Che Catania ha vissuto come sempre con distacco, a parte un pugno di “pazzi” che, in anni di profonde solitudine, diceva addirittura che il “Caso Catania” non è quello del “pallone rossazzurro” ma il contesto generale di un assetto di Potere dove la “destra” e la “sinistra” si “abbracciano” e trovano impensabili “punti d’incontro”.
Affari, intrecci, interessi, spostamento di enormi risorse dal pubblico al privato, favoriti dall’assenza di veri controlli di legalità, alle spalle dei deboli, di quelli dei quartieri popolari, delle periferie: poi, naturalmente, la farsa degli “scontri ideologici” utili per gli idioti politici e per le “vecchie volpi” interessate a tenere viva una “diversità” inesistente. In mezzo, a tenere tutto, la Procura della Repubblica, dove un gruppo di magistrati legati da legami correntizi comandava(?) su tutto: fiumi di interventi, di denunce, tenute vive da Giambattista Scidà, il giudice “eretico” (per non pochi “un pazzo”) che scandalizzava le “anime candide” della sinistra catanese, raccontando di intrecci, di una città dove da tempo erano saltati tutti i ruoli, le appartenenze e dove pochi “amici” decidevano in segreto il suo futuro. Le pronunce delle sedi istituzionali sul “caso Catania” -negato sempre da chi comanda a Catania che non è nè “di destra” nè “di sinistra”, è semplicemente interessato alla “roba”- valgono quanto “verità di Stato”: poi c’è altro, per fortuna. C’ è la verità storica. Altro discorso.
In questo contesto, nasce il “caso Scuto”. Un caso che avrebbe potuto produrre cambiamenti nei Palazzi che contano, come a Palazzo di giustizia, dove alla Procura della Repubblica si è passati sulla stessa vicenda da una richiesta di archiviazione all’arresto (ribadito anche in sede di avocazione). Nello stesso ufficio. Alla fine “paga” solo Scuto. “Paga” per tutti. In mezzo a scontri furibondi. Dove l’ombra di “comportamenti protettivi” è aleggiata tante volte. Mai una sentenza l’ha consacrata.
Oggi, l’imprenditore ha fatto chiari riferimenti al “Caso Catania”. Ma non ha fatto nomi. Quando lo farà? Lo farà mai?
Scuto, secondo l’Accusa, avrebbe “finanziato in modo continuativo” la ‘famiglia’ Laudani “in cambio di una duratura protezione” e “riciclato in attività economica legale ingenti proventi delle attività illecite della cosca”. Per la Procura generale, Scuto, che ha 72 anni, avrebbe utilizzato amicizie con il clan per espandere il proprio “impero” commerciale nella grande distribuzione. La Corte d’appello ha ribaltato, in parte, la sentenza di primo grado, emessa il 16 aprile del 2010 dalla seconda sezione penale del Tribunale di Catania, che lo aveva assolto dall’accusa di avere gestito a Palermo centri commerciali in comune con i boss Bernardo Provenzano e i fratelli Lo Piccolo e dissequestrato tutti i beni dell’imprenditore, confiscandone “una quota ideale del 15%” (una decisione che fa fatto sobbalzare non pochi in Italia).
I giudici di secondo grado lo hanno infatti riconosciuto colpevole di collegamenti con la mafia palermitana e disposto la confisca di tutti beni, nella misura in cui era stata decisa dal Gip Ferrara in sede d’inchiesta. La Difesa di Scuto ha sempre sostenuto che il ‘re dei supermercati’ in Sicilia avrebbe agito da “vittima di estorsioni da parte delle mafia” e che “pagava il clan per evitare ritorsioni personali”. E ha annunciato, con i suoi legali, ricorso per Cassazione.
La sentenza, inoltre, dispone per “l’Aligrup spa il sequestro dell’intero capitale sociale di cui lo Scuto risulta titolare o di cui ha comunque la disponibilità per interposta persona (Michele Scuto e Rita Spina) nel territorio nazionale o al territorio all’estero ove si trovino. Disposto il sequestro 52 unità locali (negozio, supermercato) in cui viene svolta l’attività della società”.
E Scuto che fa?
Tira fuori a fine udienza tutto l’orgoglio che ha e dichiara ai cronisti: “Ditemi voi, se c’é qualcosa di cui mi devo vergognare. Io ho la coscienza a posto. Avevo 18 anni quando ho cominciato a subire le angherie della mafia e le ho combattute. Ho detto tutte le mie ragioni, voglio solo una cosa: una prova provata che sono mafioso. Datemela e per me va bene.Se qualcuno mi dice che sono mafioso per me è una cosa più forte di me, non riesco neanche a pensarci” Prosegue: “La Cassazione non mi interessa mi aspettavo una cosa molto più onesta, più corretta di quello che è questa sentenza, sicuramente”.
Rimpianti? “Non ho niente da rimproverarmi -dichiara l’imprenditore- avevo 18 anni quando ho cominciato a combattere la mafia, quando al porto di Catania qualcuno mi ha proibito di fare entrare i miei camion. Allora importavo legumi dalla Siria e dal Marocco e io li ho fatti scaricare a Napoli con la sorveglianza…”.
Vanno via di corsa i giudici, si attende per molto tempo il dispositivo: alla fine esce fuori. Lascia l’aula anche un “pezzo” di società civile e una rappresentanza del “Movimento cinque stelle”. Da domani, si torna alla normalità: il palazzo di giustizia senza troppi presenti, senza troppi occhi “indiscreti”. La gente perbene presa dai suoi problemi. Personali. Privati. Più che essere di “destra” o essere di “sinistra” è l’essere catanesi che conta più di tutto.
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