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di iena giudiziaria marco benanti.
Da quel maledetto 8 agosto del 2012 sono passati -soltanto- quasi 12 anni. Ieri, infatti, è arrivata la sentenza per una tragedia dimenticata nella macchina “infernale” della “giustizia catanese”: la “morte bianca” di Orazio Savoca. Operaio. Un figlio “di nessuno”. Morto a 26 anni, caduto – da dieci metri di altezza, da un ponteggio allestito per il rifacimento della facciata di uno stabile a Catania, in via Tripoli, a San Cristoforo, un altro “figlio di nessuno”. Popolo, gente comune, quartiere comuni, nessuna nobiltà, nessuna mobilitazione indignata della “società civile”. La “giustizia catanese” ha fatto il suo corso, con una serie incredibile di lentezze, di ritardi, di errori, di superficialità, malgrado l’opera generosa dell’avvocato Antonio Patti che ha seguito la vicenda e la famiglia della vittima con grande abnegazione.
Il dispositivo di primo grado, emesso dalla prima sezione penale del Tribunale, in composizione monocratica, indica due condanne a due anni -per omicidio colposo- per Francesco Buscema e Marta Bosco (pena sospesa), proprietari e committenti dell’intervento di ristrutturazione. Il titolare della ditta che stava eseguendo i lavori, Bruno Borghi, nel frattempo è morto. Assolti sua moglie Piera Ninfa, anche lei titolare della ditta che stava eseguendo i lavori e Giorgio Gugliotta, coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione dei lavori designato dalla committenza in relazione alle opere di demolizione e ricostruzione dell’immobile.
“Prendiamo atto -ha dichiarato l’avv. Patti- con soddisfazione della Sentenza di primo grado, seppur arrivata dopo 12 anni e crediamo tuttavia che sia stata fatta giustizia solo parzialmente, tenuto che la morte dell’imputato principale Borghi, titolare della Cema Costruzioni, abbia lasciato un grande vuoto processuale.
Attendiamo le motivazioni per valutare la possibilità di sollecitare la Procura Generale ad impugnare la Sentenza di assoluzione per la moglie del Borghi, Ninfa Piera, anch’ella legale rappresentante in quanto anche i familiari non ritengono giusto che a pagare siano solamente i proprietari dell’immobile ove si è verificato il sinistro mortale. Un’ultima considerazione, se il processo avesse seguito il suo iter temprale ordinario forse avremmo avuto piena Giustizia?”
La giustizia catanese ha riconosciuto un risarcimento monetario a carico dei due condannati e a favore alle parti civili, i familiari della vittima. Denari, con tanto anche di provvisionale, che non faranno ritornare in vita Orazio Savoca. Che non servono -a parere nostro- a nulla, se non forse ad aumentare il senso di fastidio se non di beffa di una storia assurda. Una storia di giustizia di classe.
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