GIUSTIZIA ITALIANA, IL CARCERE COME “CIMITERO”: IL CASO DI GIOVANNI UCCELLATORE


Pubblicato il 25 Novembre 2014

Ma la famiglia reagisce e fa causa allo Stato

di marco benanti

Il 4 marzo dello scorso anno finì i suoi giorni in carcere. Morendo. All’Istituto penitenziario di Monza, dove era detenuto, lo sapevano che pativa una sofferenza, che stava male all’apparato cardio-circolatorio. Ma tant’è. Giovanni Uccellatore stava scontando una pena per associazione mafiosa: volete che interessi veramente alla società “civile”, ai difensori –a parole-dei diritti (quelli dei detenuti sono uguali a quelli degli altri?) della sorte di un condannato per mafia? E così Uccellatore è morto. E cosa è accaduto? La Procura di Monza ha aperto un’indagine, c’è stata una perizia, c’è stata un’archiviazione. Inopinata archiviazione, del tutto non attesa.

La famiglia, però, non si è data alla rassegnazione: domattina a Monza, in sede di mediazione civile, obbligatoria per legge, da una parte ci saranno i congiunti di Uccellatore (assistiti dall’avv. Luigi Cuscunà) e dall’altro lo Stato, o meglio il Ministero della Giustizia (la chiamano così).

Una causa per rivendicare il riconoscimento di un danno morale prima di tutto –e patrimoniale anche- perché lo Stato non ha fatto tutto quello che avrebbe dovuto fare per evitare la morte dell’uomo. Di questo ne sono convinti i familiari e il loro legale.

Anche perché esistono –incredibile a dirsi per una certa cultura giustizialista- leggi e leggi che tutelano “Caino”, il “Male”, l’ “uomo che ha sbagliato”. Esiste la Costituzione –articolo 27- che punisce talune condotte contro chi ha retrizioni della libertà personale.

Di recente, Papa Francesco, in un ampio discorso all’Associazione internazionale di diritto penale, ha sottolineato che il rispetto della dignità umana deve limitare l’arbitrarietà e gli eccessi degli agenti dello Stato, come le esecuzioni extragiudiziali, la carcerazione preventiva o senza condanna, la tortura, le pene crudeli, e deve orientare nella repressione di forme di criminalità come la tratta delle persone e la corruzione.

Ma c’è di più: Massimo Lensi, componente del Comitato nazionale di Radicali Italiani e Maurizio Buzzegoli, segretario dell’associazione “Andrea Tamburi”, di recente, hanno dichiarato: “dal 22 ottobre 2009 sono morti in carcere 893 detenuti: un numero sconvolgente di vittime imputabile ad un Parlamento attanagliato da una morsa giustizialista che in nome del consenso sta negando le uniche soluzioni capaci di risolvere immediatamente il problema come l’amnistia e l’indulto”.

I due esponenti radicali hanno evidenziato anche l’inefficienza dei provvedimenti del governo Renzi: “I proclami del ministro Orlando vengono quotidianamente sconfessati dai suicidi e dagli atti di autolesionismo all’interno delle strutture penitenziarie. Ai detenuti si continuano a perpetrare trattamenti inumani e degradanti”. 


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