I 50 anni della partita del secolo: Italia-Germania 4-3


Pubblicato il 18 Giugno 2020

di Gian Maria Tesei.

Sono passati cinquanta anni dal quel 17 giugno del1970 che vide lo svolgersi , al mondiale di calcio messicano, della mitica “Italia-Germani:4-3”. Ossia di quel match le cui emozioni rimasero scolpite negli animi del pubblico che vi assistette dal vivo ed in quelli di coloro che la videro in televisione, tanto da venire unanimamente considerata come la partita del secolo. El partido del siglo. Italia(4) Alemania(3).

Così infatti recita la lapide commemorativa all’ Estadio Azteca di Città del Messico, ricordando la semifinale di quel mondiale che tornò a restituire una dignità calcistica universale alla nazionale azzurra ( che già due anni prima aveva trionfato all’europeo con una stirpe di talenti di grande livello), che nei precedenti quattro mondiali aveva inanellato risultati men che mediocri con l’eliminazione al primo turno nel 1954 , la mancata qualificazione nel ’58, senza l’approdo ai quarti ( anche per la cosiddetta”battaglia  di Santiago”con i padroni di casa) ai mondiali cileni del 1962, e con l’improvvida sconfitta con i sottostimati semi-professionisti coreani nel 1966 in Inghilterra.

Ma non fu questo l’evento significativo di quel confronto del “giuoco” del calcio. Ma furono “la girandola”(come si diceva un tempo) d’emozioni che si susseguirono nel corso di quella partita a renderla assolutamente indelebile nella memoria degli sportivi , anche non calcistici e divenire protagonista di libri di, ad esempio, Nando Dalla Chiesa, Maurizio Crosetti ed Enrico Cucchi e di una celebre pellicola del 1990 (“Italia-Germania 4-3”) di Andrea Barzini, con Massimo Gini, Giuseppe Cederna, Fabrizio Bentivoglio e Nancy Brilli.

Tecnicamente non fu e, forse difficilmente poteva esserlo, uno scontro di grande livello, poiché incombeva l’affaticamento fisico dovuto ai 2.300 metri di altezza che rendevano difficili gli sforzi ed anche il ripristino delle condizioni fisiche in tempi brevi, cosa che proprio l’Italia avvertì fortemente nella finale che avrebbe definitivamente assegnato la Coppa Rimet all’ultimo Brasile mondiale di Pelè trionfatore per 4-1( quando gli italiani ressero per sessanta minuti per poi crollare senza appello).

E questo storico match ebbe due dinamiche diverse: la prima fu quella dei tempi regolamentari che avevano veduto il vantaggio italiano al principio della partita con “Bonimba” (Boninsegna), con l’Italia che si rinchiuse nel secondo tempo in una tattica estremamente difensiva , con il nostro portierone Albertosi a mettere le pezze alle folate offensive tedesche fino al pareggio del milanista Schnellinger ( soprannominato Volksvagen), che nella sua squadra di club mai si avventurava in incursioni d’attacco e che contro l’Italia trovò il jolly vincente che portò alla seconda fase di questa leggendaria partita molto sentita dagli italiani, che in parecchie parti d’Italia erano ancora memori delle nefaste conseguenze della seconda guerra mondiale e discretamente insofferenti verso i tedeschi, in un momento storico peraltro da poco segnato dagli impulsi sessantottini e dai preludi del terrorismo.

I tedeschi disponevano di una formazione aggressiva che pian piano avrebbe assommato un bel numero di punte, con la regia di uno straordinario talento del centrocampo a guidarle quale Franz Beckenbauer,( che avrebbe giocato parte della partita con un braccio fasciato al collo per un infortunio), mentre l’Italia , aevav allestito di una compagine mista di talenti ( Boninsegna, Riva, etc. …) e grandi difensori che però viveva un‘inconcepibile staffetta di fuoriclasse, voluta dal commissario tecnico Valcareggi, che avveniva tra due immensi campioni quali Rivera e Sandro Mazzola( peraltro anche figlio di quel mito del calcio che è stato Valentino del Grande Torino). Una staffetta già attuata contro il Messico, per centellinare le energie, ma del tutto insensata, tanto in semifinale, ma soprattutto nella finale poi persa, con soli sei minuti concessi al Pallone d’oro in carica, ossia Rivera, che per di più non aveva caratteristiche esattamente coincidenti con Sandrino Mazzola ed era assolutamente compatibile con lui, come dimostrato anche all’europeo.

La cronaca cominciò a riversare emozioni su emozioni (saranno cinque i goal segnati in 17 minuti) a partire dal primo tempo supplementare, nel corso del quale Poletti, subentrato all’infortunato Rosato, favorì involontariamente il vantaggio tedesco, firmato Muller, con il pronto pareggio del granitico difensore (poco incline alle sortite nel centrocampo avversario) Burgnich a sfruttare un’ improvvida ribattuta dell’estremo difensore tedesco Held su punizione di Rivera.

Un Gigi Riva, fino a quel momento non esaltante, si inventò un doppio dribbling con un tiro ad incrociare chirurgico(ma non con la potenza tipica del “rombo di Tuono”), facendo pregustare un trionfo azzurro.

Trionfo che però sembrò assopirsi su un corner tedesco, con Seeler a fare la sponda per Muller che con un tocco leggero insaccò sul palo in cui c’era quel Rivera entrato al posto di Mazzola nel secondo tempo regolamentare, che non si oppose adeguatamente, prendendosi i rimproveri e gli improperi del portiere italiano Albertosi.

Ed è lì che in lui scattò qualcosa. Prima progettò di prendere palla per scartare tutta la formazione avversaria e depositare il pallone in rete. Poi conscio del forte schieramento che gli si contrapponeva, decise di assecondare un’azione sulla sinistra di Bonimba, che piazzò la palla al centro. E da quel momento il tempo si fermò. Sospeso in quell’attimo si dipinse il possibile epilogo della partita, la voglia di rivincita del campione, che sentì su di sé il peso di una nazione che anelava a giungere in finale e vincere la coppa  Rimet. Coppa che sarebbe stata definitivamente assegnata alla nazionale che per prima avrebbe vinto tre coppe del mondo, con tre semifinaliste a sperare ossia proprio l’Italia( che aveva esultato nel 1934 in Italia e nel 1938 in Francia), l’Uruguay ( vincitrice nel 1930 e nel 1950) sconfitto,nell’altra semifinale dal Brasile  e proprio la nazionale verdeoro ( trionfatrice nel 1958 e nel 1962), che avrebbe poi ottenuto l’agognato trofeo proprio a spese dell’Italia.

Tornando a quell’attimo, tempo dopo Rivera avrebbe detto di non sapere , se non dopo avere rivisto le immagini, con quale piede avesse toccato il pallone, avendo egli colpito con il piede destro, anziché con il sinistro tocco che era la sua prima opzione istintiva, prendendo invece con quel colpo di genio inventato all’istante il portiere avversario in controtempo con un tocco di piatto tanto delicato quanto elegante e preciso che segnò la fine di quella grande partita di calcio.

Con l’esultanza dei tifosi, che avevano ascoltato le telecronache di Nando Martellini(succeduto al notissimo Nicolò Carosio, accusato di razzismo per un commento durante la partita dei quarti con Israele), che si riversò, forse per la prima volta per un evento sportivo, in strada con i clacson a fare da cornice sonora a quell’orgoglio sportivo che tracimò in una sorta di orgoglio nazionale.

 


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