“I Vice Re’ “, per il giudice civile non ci fu diffamazione. Ciancio condannato a pagare le spese legali per 30mila euro


Pubblicato il 27 Novembre 2012

Da livesiciliacatania.it, vi proponiamo un esclusivo articolo a firma del direttore, locale, Antonio Condorelli che da’ la notizia in anteprima della condanna, in sede civile, del potente editore catanese Mario Ciancio che aveva citato in giudizio al Tribunale di Roma la nota trasmissione televisiva d’inchiesta “Report” ritenendosi diffamato dal discusso servizio su Catania “I Vice Re’ “ (clicca qui e guarda il servizio). Il giudice del Tribunale di Roma, Damiana Colla, non ha accolto la domanda dell’editore Mario Ciancio e l’ha condannato al pagamento delle spese legali per 30mila euro.Qui di seguito, vi riportiamo quel che ha scritto Condorelli su livesiciliacatania.it, considerato che proprio lui che ha lavorato a stretto braccio con gli autori della trasmissione, Milena Gabanelli e Sigfrido Ranucci, quel servizio giornalistico, oggetto dell’azione civile intrapresa da Ciancio, lo conosceva molto bene.di Antonio Condorelli, da livesiciliacatania.it (puoi leggere anche alla fonte)La citazione civile milionaria di Mario Ciancio alla trasmissione Report di Rai 3 è stata respinta dal Tribunale di Roma. Con la stessa sentenza l’editore etneo è stato condannato al pagamento delle spese processuali: 30mila euro. La trasmissione, della quale sono autori Milena Gabanelli e Sigfrido Ranucci, che ha curato il servizio su Catania, è stata assistita in giudizio da Alessio La Pegna, civilista romano che ha seguito le numerose udienze degli ultimi 3 anni.Secondo i legali di Ciancio, che avevano chiesto un risarcimento danni da 10milioni di euro, la trasmissione I Vicerè, andata in onda il 15 marzo del 2009, avrebbe avuto “un carattere ampiamente diffamatorio, in quanto basata su notizie false ed espresse al di fuori dei limiti della continenza espositiva che deve caratterizzare il libero esercizio del diritto di critica tipico del giornalismo d’inchiesta”.Su queste basi, l’editore catanese chiedeva la rimozione della trasmissione dal sito internet di Report e la condanna al pagamento per ogni giorno di ritardo nella rimozione, ma anche la pubblicazione della sentenza “su numerose testate giornalistiche e i relativi siti internet, nonché su testate giornalistiche Rai radiofoniche e televisive”. Ciancio chiedeva anche la pubblicazione della condanna “almeno per un quinquennio” sui siti internet “di titolarità della Rai”.Il giudice Damiana Colla, del Tribunale di Roma, ha ritenuto la domanda di Ciancio “non fondata”, sottolineando che “l’intera puntata è espressione, secondo il consueto taglio della trasmissione, del giornalismo d’inchiesta. I giornalisti -si legge nella sentenza- hanno inteso delineare, nel più ampio contesto delle vicende relative al dissesto del comune di Catania ed alle sue ragioni, rinvenute dai giornalisti anche nella consueta e rilevante commistione tra mafia, amministrazione locale, informazione ed imprenditoria in genere, la figura e la carriera professionale di Mario Ciancio, uno degli imprenditori catanesi i cui interessi e la cui attività imprenditoriale da decenni spaziano -nella complessa realtà di commistioni ed interferenze prima illustrata, dal settore dell’editoria e della radiotelevisione, a quello dell’edilizia, e ancora a quello della pubblicità e dei servizi.Il giudice analizza tutto il servizio giornalistico, partendo dall’infiltrazione mafiosa nella festa di S.Agata, documentata attraverso le foto dei boss sul feretro della Patrona, a quella negli appalti del comune di Catania.L’hotel S. PietroNon sussisterebbe alcuna diffamazione, nella ricostruzione delle vicende dell’hotel di lusso edificato da Ciancio a Taormina, con un nulla osta “emanato in extremis dall’assessorato all’Ambiente della Regione Sicilia nel 2002. L’atto -dicevano i giornalisti- è firmato da colui che oggi è diventato capo di gabinetto di Raffaele Lombardo”. Questo provvedimento -sottolinea il giudice- ha consentito “un non condivisibile, notevole ampliamento rispetto alla progettazione iniziale, peraltro in prossimità della campagna elettorale”.E’ stato accertato anche il fatto che prima della trasmissione I Vicerè, il quotidiano La Repubblica non distribuiva l’edizione regionale a Catania, fatto confermato anche da Ciancio, che nell’atto di citazione spiegava che era possibile acquistare questo giornale “nell’edicola della stazione o in quella dell’aeroporto”.“L’utilizzo dell’espressione monopolio -ritiene il giudice- appare riferito, criticamente, ad una situazione di fatto in cui la testata edita dall’attore, per varie ragioni, è la principale e più venduta nel catanese”.Confermato anche l’incasso di 350mila euro, in un solo anno, per pagare, attraverso i debiti fuori bilancio, le dirette televisive del consiglio comunale.La campagna elettorale del 2005Il Tribunale analizza le varianti che hanno consentito la trasformazione dei terreni di Ciancio da agricoli in edificabili, terreni sui quali è stato costruito il centro commerciale Icom consentendo un incasso di 28milioni di euro. A questo proposito vengono citate “le intercettazioni di un imprenditore messinese indagato per mafia, nelle quali è fatta menzione del Ciancio quale persona in possesso di terreni agricoli idonei alla costruzione di un centro commerciale”.“Ancora una volta -evidenza il giudice- i fatti esposti da Report sono veri nel loro nucleo essenziale e accuratamente riscontrati dai giornalisti convenuti, pur se esposti con sottile ironia, evidente nell’espressione utilizzata “Forse è solo una coincidenza…”.La sentenza ripercorre anche la registrazione delle dichiarazioni di Riccardo Riggi, portavoce del gruppo Acquamarcia, ex collaboratore de La Sicilia, che ha confermato di aver lavorato per Ciancio. Nella trasmissione, Riggi dichiarava che “Ciancio è l’uomo giusto a cui chiedere consiglio quanso si viene da queste parti…ho visto passare tutti dalla redazione di Ciancio: Fini, ho visto passare Casini, cioè ho visto passare tutto il mondo e andavano da lui in pellegrinaggio. E’ un uomo che ti può dare molti consigli utili: tipo questa cosa te la sblocca tizio…guarda, questa compete a quell’ufficio, a quella persona lì, tieni il numero, chiamalo…”.E ancora, il giudice esamina anche la lettera del boss Vincenzo Santapaola che La Sicilia ha pubblicato dal 41bis senza l’autorizzazione dell’ufficio Gip catanese, il rifiuto del necrologio del commissario Beppe Montana, ammazzato dalla mafia e il furto nella villa di Ciancio.Su queste basi il tribunale ha rigettato la richiesta di risarcimento danni di Mario Ciancio e lo ha condannato al pagamento delle spese processuali in favore di Report per 30mila euro.Lo studio di Enzo Musco, legale catanese di Ciancio, contattato da LivesiciliaCatania, ha fatto sapere che in mattinatà sarà possibile conoscere il parere dei legali su questa sentenza.LA REPLICA DELL’EDITORE CATANESE MARIO CIANCIO“Una decisione ingiusta, che non tiene conto delle dettagliate prove documentali e delle minuziose ricostruzioni espresse in giudizio” contro la quale ricorrerà per avere “avere riconosciuti i miei diritti”. Lo afferma il direttore e editore de La Sicilia di Catania, Mario Ciancio Sanfilippo, sul rigetto della sua richiesta di risarcimento per diffamazione alla Rai per l’inchiesta ‘I Vicere” dell’edizione del 15 marzo del 2009 di Report.“Ho letto la sentenza del Tribunale di Roma che ha deciso in primo grado la mia causa contro Report – dichiara Mario Ciancio Sanfilippo -: è una decisione ingiusta, che non tiene conto delle dettagliate prove documentali e delle minuziose ricostruzioni espresse in giudizio. Io per primo, infatti, sostengo, e continuerò sempre a sostenere, la libertà di informare e di criticare. Ma questa libertà non può consentire insinuazioni, messaggi maliziosi od accostamenti ingiustificati con illeciti e la criminalità. Mi sembra – sottolinea – che la sentenza non abbia colto le strumentalizzazioni e distorsioni di Report, fondandosi su un giudizio complessivo delle varie vicende invece che dei loro singoli passaggi. Mentre io – osserva – credo fermamente che nell’informazione i dettagli siano fondamentali: distorcerli oppure ometterli, come secondo me ha fatto la trasmissione del 2009 in mio danno, significa alterare la realtà e violare l’onore e la reputazione delle persone coinvolte”. “In ogni caso vado avanti – conclude Mario Ciancio Sanfilippo – perché è soltanto una sentenza di primo grado e quindi ho già dato incarico a miei legali di proporre appello. Ci vorranno altri anni, ma sono convinto che la Corte di secondo grado ribalterà la decisione e riconoscerà i miei diritti”. (fonte ANSA).


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