IACP Catania: uno degli snodi fondamentali del sistema di Potere


Pubblicato il 07 Gennaio 2012

Iacp di Catania: cosa ha rappresentato storicamente l’Istituto Autonomo Case Popolari? E’ solo un ente come tanti altri, magari governato “all’italiana”? O è altro e di ben altra consistenza politica? Ne abbiamo parlato tante volte e continueremo a farlo.

Per capire meglio, per approfondire l’argomento, ecco quanto è scritto sul tema in “La mafia comanda a Catania 1960/1991” (autore Claudio Fava, 1991). Sarà soltanto rievocazione del passato? Oppure -mutati contesti generali e personaggi- cronaca del presente?

a cura di Iena Benanti Memoria d’Elefante

“…La cronaca dell’antica, disperata sete di case che in Sicilia trovò sbocco soprattutto nel settore dell’edilizia pubblica convenzionata. Fra il 1950 e il 1970, il periodo di maggiore attività dell’Istituto autonomo case popolari, un’abitazione su tre fu costruita con fondi pubblici. Una febbrile attività edile e una folle sempre più vasta e più famelica di postulanti, cui promettere un posto in graduatoria per l’assegnazione della casa. Più l’attesa sarebbe stata lunga, più incorruttibile sarebbe stata la loro fedeltà politica. Fu così che l’Iacp di Catania diventò il più docile strumento di clientelismo.L’importante era costruire: recuperare nuove aree edificabili, ottenere i finanziamenti, fabbricare altre case e prometterle alla gente. Anche a costo di stravolgere il Piano regolatore modificando le sue linee di sviluppo: ciò che accadde puntualmente a metà degli anni Sessanta quando alla presidenza dell’Iacp venne mandato Armando Palazzo, un fedelissimo di Drago. L’Istituto decise di costruire due nuovi quartieri di edilizia popolare, il villaggio Sant’Agata e Monte Po. Contro ogni logica urbanistica, scelse per quei progetti le sciare argillose a ovest della città: terreni paludosi, instabili, assolutamente inadatti, ma sufficientemente spaziosi per realizzare un altro migliaio di vani.Il risultato furono due miserabili ghetti alla periferia della città: Catania li aveva partoriti e se n’era subito dimenticata. Le case del villaggio sant’Agata, prive di certificato di abitabilità a causa dei continui smottamenti del suolo, rimasero sprangate per molti anni finchè furono occupate dalle famiglie degli assegnatari stremati per l’attesa. Più beffardo il destino di Monte Po, che nelle intenzioni dei progettisti sarebbe dovuto diventare una piccola, ordinata città satellite: civile, accogliente, autosufficiente. Un bluff!Costruirono solo i palazzi, neppure la luce e le fogne(quelle arrivarono molti anni dopo): venti tozzi casermoni di cemento e basta. Per trovare una farmacia o un francobollo la gente deve farsi ancora oggi venti minuti d’autobus. E Monte Po è diventato il quartiere d’Europa con il più alto tasso di criminalità minorile: respinti da Catania, segregati in un ignobile ghetto, illusi da fiumi di parole, i figli di quella povera gente adesso tornano all’assalto della città.In realtà l’Iacp non fu soltanto un utile procacciatore di clientele e di voti. I suoi robusti appalti servirono anche come trampolino di lancio per due fra i più potenti imprenditori catanesi: Carmelo Costanzo e Francesco Finocchiaro, cavalieri del lavoro, protagonisti a venire – insieme a Mario Rendo e Gaetano Graci- d’una ambigua ma travolgente stagione affaristica e giudiziaria. Fra il 1960 e il 1971, le imprese di Costanzo e di Finocchiaro riusciranno ad aggiudicarsi il 61 per cento degli appalti banditi dall’Iacp, in tutto 22 commesse su 40. Si saldava per la prima volta quell’intimo connubio fra politica e affari che sarà un elemento costante nelle cronache catanesi del successivo ventennio.C’è di più. I baratti politici costruiti in queste prime stagioni di ‘buon governo’ sui diritti del cittadino (la salute, il lavoro, la casa) creeranno la premessa per quella sovversione nelle regole, nei ruoli e nell’etica che condurrà Catania in ostaggio ai comitati d’affari. E al loro braccio armato: la mafia.”E oggi?


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