di iena cassazionista
Iniziano a trapelare alcune delle motivazioni addotte dal Gip di Catania, Luigi Barone, all’interno dell’ordinanza, di oltre sessanta pagine, con la quale ha disposto l’imputazione coatta per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato per il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, e suo fratello Angelo, deputato nazionale del Movimento per l’Autonomia.
La testata giornalistica www.blogsicilia.it, diretta da un collega molto qualificato come Francesco Lamiani, è tra le prime a dare la notizia che, di fatto, il Gip di Catania avrebbe “aggirato” i paletti posti dalla nota sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite che il 12 luglio del 2005 aveva assolto l’ex ministro Calogero Mannino, imputato per il medesimo reato. Tale sentenza, infatti, sancisce che per concretizzarsi il concorso esterno occorre che il politico, in cambio dell’appoggio elettorale, deve aver sostenuto e favorito l’associazione mafiosa cosicché grazie al suo sostegno concreto questa possa esserne uscita rafforzata. E tali fatti o atti che hanno prodotto un rafforzamento della mafia, naturalmente vanno documentati e provati in giudizio al fine di sostenere la conseguente accusa.
Proprio per l’impossibilità di dimostrare tale ritorno di favori, sino ad oggi la Procura di Catania ha più volte richiesto l’archiviazione della posizione di Raffaele Lombardo e di suo fratello Angelo. Negli atti sui quali si fonda l’ipotesi di reato a parere della Procura emergerebbe la difficoltà di dimostrare la contropartita offerta dai due politici all’organizzazione mafiosa con l’intento di rafforzarla. Una posizione che l’Ufficio inquirente di Catania ha sostenuto sotto la guida di due diversi procuratori, Vincenzo D’Agata e Giovanni Salvi. Anzi tre procuratori se aggiungiamo Michelangelo Patanè che con determinazione ha retto l’Ufficio nei mesi di vacatio. Solo qualche giorno addietro, peraltro, l’attuale procuratore capo di Catania, Giovanni Salvi, ha ribadito le difficoltà riscontrate nel tentativo di dare una qualificazione giuridica ai pur provati rapporti. Certo, qualcuno in questi giorni ha pure pensato ad un possibile ‘imbarazzo’ del nuovo procuratore di fronte all’ipotesi di dover smentire il lavoro fino a quel momento portato avanti dai suoi colleghi, ma chi conosce, anche solo un poco, il dott. Salvi sa bene che quando c’è da affermare la legalità è tipo che non guarda in faccia a nessuno.
Bene, blogsicilia.it svela come nelle motivazioni a sostegno dell’imputazione coatta a carico dei fratelli Lombardo, spiegate dal dott. Luigi Barone, la succitata “sentenza Maninno” viene, diciamo, superata con la seguente tesi: “Nella vicenda in esame la rilevanza causale tra l’accordo ed il rafforzamento dell’associazione non si coglie nell’ottemperanza dei Lombardo agli impegni assunti ma nello strumento offerto dai Lombardo alla consorteria mafiosa e da questa utilizzato“. E il Gip diCatania sostiene ciò richiamando in particolar modo la vicenda della società Safab s.p.a. (che venne costretta a ‘mettersi a posto’ per completare i lavori di realizzazione del canale di gronda a Lentini e avrebbe avuto anche forti e strumentali difficoltà per ottenere dal Genio Civile di Catania dei nulla osta alla realizzazione di un complesso residenziale nei pressi di Sigonella).
E’ indiscutibile – scrive ancora nelle sue motivazioni il Gip di Catania, Luigi Barone, riferendosi alla decisione delle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza Mannino – che ove il patto tra il politico e gli esponenti del sodalizio mafioso non abbia alcun seguito non c’è rilevanza penale, ma, sempre secondo il Gip Barone, “l’accordo, oltre che nell’adempimento da parte dei politici collusi degli impegni assunti in favore della consorteria, può trovare concretizzazione, ad esempio, come avvenuto nel caso di specie, in un mutamento delle strategie criminali dell’associazione, fondato, per l’appunto, sul nuovo elemento di forza d’acquisto”. Ad avviso del giudice Barone, che confuta in questo modo le conclusioni della Procura di Catania, che più volte aveva chiesto l’archiviazione delle indagini per Angelo e Raffaele Lombardo, insomma “il punto decisivo non è se la nuova strategia messa in campo dal rappresentante provinciale di Cosa nostra etnea si sia rilevata fruttuosa o meno, quanto piuttosto la circostanza che questo nuovo modus procedendi era reso possibile solo grazie al patto di scambio stipulato con i Lombardo”.
La disamina degli elementi indiziari, secondo il Gip “appaiono sufficienti, a giudizio di questo decidente, per giustificare l’esercizio dell’azione penale nei confronti degli odierni indagati per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa trattandosi di elementi dotati di sicura valenza indiziaria tale da rendere verosimile, allo stato, la trasformazone degli stessi, ad esito di una eventuale istruttoria dibattimentale, in prove pienamente idonee a fondare un giudizio di colpevolezza”.
“Gli elementi investigativi acquisiti in atti – scrive il giudice Barone – compongono un quadro indiziario di sicura gravità, per precisione e convergenza, dal quale emerge che i fratelli Lombardo hanno direttamente o indirettamente sollecitato la ‘famiglia’ catanese a ricercare voti, in loro favore o in favore del partito politico di cui Raffaele Lombardo è il leader, in occasione delle elezioni europee del 1999; di quelle amministrative provinciali del 2003; delle europee del 2004; delle regionali del 2006; delle nazionali, comunali e regionali del 2008”. E aggiunge: “Cosa nostra non avrebbe subito il continuo tradimento del mancato rispetto degli accordi per 10 anni di fila, dal 1999 al 2008″.
Indizi e valutazioni, quelle del Gip Luigi Barone, che adesso, a breve, dovranno passare al vaglio del giudice dell’udienza preliminare dinanzi al quale i fratelli Lombardo cercheranno di dimostrare la loro estraneità ai fatti per evitare il rinvio a giudizio.
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