Raffaele Lombardo ha esternato una mezza soddisfazione “primo passo verso la verità”, ma ha anche aggiunto: “dimostrerò dinanzi al Giudice monocratico, e in tempi brevissimi, l’assoluta infondatezza della nuova ipotesi accusatoria, non avendo mai ricompensato con contropartite di alcun genere il consenso di chicchessia”.
Ebbene, a nostro giudizio, quest’ultima dichiarazione del Governatore potrebbe rappresentare la chiave di chiusura di questa lunga e complessa vicenda nella quale non sono mancati i colpi di scena.
Perchè? Lo scorso giugno, allorchè il procuratore capo facente funzione ebbe a revocare la delega ai quattro sostituti titolari del fascicolo decidendo di stralciare la posizione dei fratelli Lombardo (oltre a quella di un imprenditore) spiegò che la richiesta di rinvio a giudizio per Lombardo non avrebbe retto al vaglio del gip in considerazione dei paletti fissati dalla cassazione nell’ambito del processo per concorso esterno all’ex ministro Calogero Mannino, paletti che fanno esplicitamente carico all’ufficio del pubblico ministero di portare le prove del patto politico-mafioso tra i boss e l’imputato.
I vertici della Procura di Catania furono abbastanza chiari: “Non basta, dunque, provare l’esistenza di un rapporto di varia natura tra l’uomo politico e il mafioso, per arrivare ad una condanna per concorso esterno bisogna provare il corrispettivo che il politico avrebbe dato in cambio dell’appoggio elettorale dei boss”. Un concetto che, prima di andare in pensione, nel corso di una conferenza stampa aveva già esternato il procuratore capo Vincenzo D’Agata.
Adesso al governatore e a suo fratello viene contestato il reato di voto di scambio sancito dalla legge elettorale del 30 marzo 1957. All’articolo 96 si dispone: “Chiunque, per ottenere a proprio od altrui vantaggio la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura, o il voto elettorale o l’astensione, offre, promette o somministra denaro, valori, o qualsiasi altra utilità, o promette, concede o fa conseguire impieghi pubblici o privati ad uno o più elettori o, per accordo con essi, ad altre persone, è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000”.
Bene, ma anche per questa nuova ipotesi di reato la Procura dovrà dimostrare lo scambio, dovrà dimostrare quali favori i Lombardo avrebbero restituito in cambio dei voti. Ma se già in occasione dello stralcio la Procura ebbe a dire che, alla luce della sentenza Mannino e allo stato degli atti dell’inchiesta Iblis, non c’erano le prove sufficienti a dimostrare “il corrispettivo che il politico avrebbe dato in cambio dell’appoggio elettorale”, adesso, con le stesse carte, visto che non ci sono stati supplementi d’indagine, come pensa di dimostralo? L’ex procuratore addirittura disse chiaramente che “eventuali accuse nei confronti dei Lombardo non avrebbero retto alle critiche di un’attenta difesa”. Probabilmente, se non si sbagliò, non reggeranno neppure dinanzi al giudice monocratico.
Ecco perché riteniamo che, alla luce di tutto ciò che è accaduto, per una questione di coerenza, allo stato degli atti, la richiesta di archiaviazione sarebbe stata probabilmente la scelta più giusta.
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