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“Il caso Pantani-omicidio di un campione”: la storia di un mito dello sport approda al grande schermo
Pubblicato il 24 Maggio 2020
E’stato il poeta delle salite, colui che sapeva eccitare le folle come pochi altri in tutta la storia del ciclismo, tanto da essere considerato una leggenda, con qualche chiaro scuro, che purtroppo, prematuramente, ci ha abbandonato. Fare un film su di lui vuol dire issare la bandiera anzi la bandana ( fascia-copricapo che indossava spesso in corsa) del mitico Marco Pantani, “il Pirata”( il suo soprannome principale)e spiegarne l’ascesa e le crisi.
In questa importante prova di raffigurazione si è impegnato, nella sua opera seconda intitolata “Il caso Pantani-omicidio di un campione”, Domenico Ciolfi ( già director di “Passaggio a vuoto” nel 2000) , che ha affidato l’interpretazione del campione di Cesenatico a tre attori Marco Palvetti, per la sua vita a Cesenatico, Brenno Placido, per gli accadimenti di Madonna di Campiglio e Fabrizio Rongione per quanto attiene la sua storia a Rimini.
Non è la prima rappresentazione sulla vita del grande sportivo italiano, visto che già Claudio Bonivento aveva realizzato nel 2007, riscuotendo un buon successo di pubblico, un prodotto filmico per la tv su Pantani, con Rolando Ravello nei panni del grande ciclista e traendo ispirazione dal libro “Pantani. Un eroe tragico”, scritto a sei mani da Pier Bergonzi, Davide Cassani ( attuale commissario tecnico della nazionale di ciclismo maschile ) ed Ivan Zazzaroni .E le vicende del Pirata che è entrato nel cuore dei tifosi, e non solo , hanno trovato la loro narrazione anche sul palcoscenico grazie all’opera teatrale “Pantani”, del 2012, di Marco Martinelli, con Ermanna Montanari(Premio Duse 2013 per la sua perfomance nel ruolo della madre del ciclista, Tonina Pantani ) e Luigi Dadina, pièce che ha suscitato grandi emozioni ed importanti plausi dalla critica.
La produzione di Ciolfi ha avuto una gestazione che muove dal 2014 e che si è giovata di un cast d’ eccezione composto da Marco Palvetti, Francesco Pannofino, Libero De Rienzo, Fabrizio Rongione, Ettore Nicoletti, Brenno Placido, Emanuela Rossi, con lo stesso Ciolfi nel ruolo di sceneggiatore e co-produttore assieme a Monica Camporesi. E Ciolfi ha definito la propria creatura cinematografica come un lavoro d’inchiesta che si è andato arricchendo in corso d’opera di particolari, sfumature e di una vita e di una storia umana e d’atleta trionfali ed insieme drammatiche, con l’intento e riuscendo, al contempo, ad esaltare la Romagna( terra in cui risiede il regista milanese ormai da tempo) ed a restituire dignità ad un grande qual è stato Marco Pantani.
Ed è proprio per analizzare meglio le dinamiche personali del ciclista cesenate che Ciolfi ha voluto fare impersonare questo eroe dei pedali a tre attori, di modo da assolvere ognuno al ruolo di rappresentare momenti e forse anche strati psicologici differenti di questo grande pedalatore.
Marco Palvetti, noto al grande pubblico per impersonare Salvatore Conte in “Gomorra”, ed uno dei tre interpreti di Pantani sul grande schermo , per dare vita al personaggio, ha deciso proprio di scavare nei suoi lati oscuri, quelli fatte di fasi e tempi di fragilità e paure, lontane dalla fama che ne ammantava le imprese, e giustapposte ad una potente carica agonistica, un amore ed un’ossessione paradossalmente quasi fobica per il ciclismo e la vittoria che gli faceva dire :” vado così forte in salita per abbreviare l’agonia”.
Un’agonia che lo aveva segnato a partire da quel tragico 5 giungo 1999 , quando fu costretto a lasciare il giro d’Italia( nel quale si avviava a trionfare con ampio margine sugli inseguitori in classifica, tra cui Gotti che avrebbe poi vinto la corsa) perché il valore dell’ematocrito fu trovato lievemente al di sopra del dovuto, cosa che sin dall’inizio sembrò strana , (ci fu uno strano movimento attorno alle provette del ciclista, che assieme ai medici della squadra aveva controllato la sera prima due volte quel valore , riscontrandolo nella norma) tanto da fare pensare negli anni ad un complotto per farlo fuori. Complotto che probabilmente fu ordito dalla Camorra che dominava il mondo delle scommesse clandestine sul ciclismo.
Lo stesso Palvetti ha evidenziato come Pantani si fosse trovato contro un sistema alterato e deviante a cui non sapeva opporsi e che lo punì più del dovuto forse anche perché era oramai il re assoluto , avendo vinto, tra l’altro,( dopo avere stupito nei suoi prima anni della carriera ed avere superato dolorosissimi incidenti) Il Giro d’italia ed il Tour de France nello stesso anno (1998) come solo pochi grandissimi hanno saputo fare, ed a quel punto divenendo più proficuo scommettere sulla sconfitta del fuoriclasse piuttosto che sulla sua vittoria.
Pantani gareggiava in un ciclismo in cui il doping , che è il rischio costante delle attività atletiche professionistiche ( e non solo), era quasi manifesto ( alcune accuse, venendo assolutamente poi smentite, avevano sfiorato lo stesso Pantani per alcuni valori ematici elevati riscontrati in ospedale in seguito ad un incidente durante una corsa), con Armstrong che di lì a poco avrebbe dominato Il tour de France per sette volte consecutive, salvo essere squalificato, perdendo ogni trofeo vinto in quel periodo, proprio per doping.
Il sentirsi vittima di un’ingiustizia, il ritorno alle corse dopo la breve pausa seguita alla sospensione dal giro del 1999, lo vide oberato dal carico di quella macchina del fango che lo fece finire sotto un processo mediatico che pian piano lo spinse alla depressione, al ritiro all’abuso di stupefacenti ed alla tragica notte del 14 febbraio del 2004, nella stanza D5 del residence “Le Rose” di Rimini, con quel suicidio( secondo frettolose versioni ufficiali), ma più probabilmente omicidio, che ha concluso la parabola di uno dei più grandi, poetici ed emozionanti campioni del ciclismo mondiale.
Gian Maria Tesei.
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