“Il partito del sindacato” a sostegno della Giuffrida: ma della vertenza Telecolor ne vogliamo (ri)parlare?

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di iena marco pitrella (col concorso morale di marco benanti)

(foto-vignetta tratta dalla bacheca di Raffaele Biancofiore)

Come sempre, sempre insieme, Angelo Villari, “l’incompiuta”, e Concetta Raia, “l’esclusa”, erano là, all’apertura della campagna elettorale di Michela Giuffrida, quella che… vuol tornare al parlamento europeo.

Del resto, ormai, quando hai davanti Villari e la Raia non sai mai se hai a che fare con un compagno e una compagna del partito democratico o se hai a che fare con un compagno e una compagna del sindacato: e stanno con la Giuffrida, per l’appunto, di cui non si ha memoria di un impegno per i diritti dei lavoratori.

E l’aveva avuta l’occasione, la Giuffrida; basterebbe ricordare, in particolare, la vertenza dei lavoratori dell’emittente Telecolor.

Una vicenda lunga, quella della vertenza, cominciata nel 2006 con il licenziamento dei tecnici e dei giornalisti, tra i quali, Fabio Albanese, Giuseppe La Venia, Nicola Savoca, Katia Scapellato, Alfio Sciacca, Valter Rizzo, tutti colleghi della Giuffrida; e conclusasi nel 2015: il licenziamento avvenne “senza adeguata motivazione”, sentenziò la Cassazione, tanto che a suo tempo si parlò di “epurazione”. Per la cronaca, i lavoratori vinsero.

E quanto battagliava, a suo tempo, il sindacato, la Cgil, accanto ai lavoratori; adesso che della Cgil ne è stato fatto un partito, una quota – parte del partito democratico, questi stanno accanto alla Giuffrida e non si può dir che lei, la Giuffrida, stesse accanto i suoi colleghi, anzi.

La “faccenda”, raccontata da Valter Rizzo, uno dei giornalisti licenziati, come detto, è agli atti della Commissione Nazionale Antimafia, relatore Claudio Fava: «Il 2 luglio vengono eseguiti i primi due licenziamenti, quelli del collega Sciacca e del collega Fabio Albanese, rispettivamente vice caporedattore e caposervizio – questo è l’inizio – il direttore Nino Milazzo che, sempre sulla base del contratto nazionale di lavoro, avrebbe dovuto avallare i licenziamenti, si è rifiutato e si è dimesso per protesta».

Fu Nino Milazzo, allora direttore, a dare le dimissioni.

E Michela Giuffrida? Per volontà di Mario Ciancio, l’editore, ne raccoglieva, seppur per poco, il testimone, diventando il direttore, “direttora” si direbbe ora: «Noi non votiamo la fiducia nei confronti di questa persona – e sempre Valter Rizzo a raccontarlo – e sono scattati i licenziamenti per gli altri colleghi che rimanevano». 

Gli altri licenziamenti, quattro quindi, avvennero sotto la direzione – ad interim – della Giuffrida.

Audita la Giuffrida, nel frattempo diventata deputato, se, nella sua qualità di direttore, avrebbe potuto evitare quei licenziamenti – si legge ancora nei verbali della Commissione -, la risposta è tutt’un programma: «Ritengo che i licenziamenti sarebbero comunque andati a buon fine, non potendo nessuno interagire con questa procedura».

Eppure Milazzo – si è appena letto – si dimise proprio per non avallarli quei licenziamenti…

Delle due l’una, insomma.

«Io non li ho certamente avallati», in ultimo le parole della Giuffrida; ma quel che certo è che non si ricordano, in proposito, prese di posizione.

Intanto, Angelo Villari e Concetta Raia stanno ad applaudirla: come sempre, sempre insieme.

 

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Benanti

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