“…L’assenza di cultura industriale nella maggiore imprenditoria della città spiega peraltro l’indifferenza del potere economico catanese, la sua concezione della politica come ‘area dell’affare protetto’; nessuna pressione sulla classe politica per interventi tempestivi nel settore dei servizi tradizionali, dalla scuola (strutture e diritto allo studio) alla sanità, dalla casa ai trasporti. Il ‘pubblico’ è solo denaro, sotto forma di incentivi o di credito: domina ancora, presso imprenditori di avanzata cultura tecnica, una concezione assistenziale del servizio pubblico per ciò escluso dai fattori dello sviluppo e gestito da una burocrazia segmentata in corporazioni e non motivata né socialmente né professionalmente...” tratto da “Catania” di Giuseppe Giarrizzo, Laterza 1986.
Così scriveva, fra l’altro, il prof. Giarrizzo a metà degli anni Ottanta. E’ cambiato qualcosa da allora sotto l’Etna?
Le cronache di oggi raccontano dell’ “epopea” di Nino Pulvirenti, per anni e anni omaggiato da tre quarti della cità, soprattutto da quella “perbene”.
Al di là delle vicende personali che hanno ciascuna una sua specificità o almeno sembra così, che modello di imprenditoria resta o comunque è ancora vivo a Catania?
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