Il ministro, recentemente voluto al Governo da Silvio Berlusconi, è accusato di concorso in associazione mafiosa. I pubblici ministeri, dopo anni d’indagini e approfondimenti, avevano nuovamente richiesto l’archiviazione del procedimento ritenendo, pertanto, che non fossero emersi elementi rilevanti per sostenere l’accusa in giudizio.L’inchiesta prese spunto dalle dichiarazioni di un pentito, Francesco Campanella, a detta del quale il ministro nel 2001 sarebbe stato “a disposizione” della cosca di Villabate dei boss Antonino e Nicola Mandalà. I pm, però, non trovarono i necessari riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia e proposero l’archiviazione.
Non si è fatta attendere la replica del ministro indagato, affidata a un comunicato stampa:”Il gip dr. Giuliano Castiglia – scrive Saverio Romano – non ha ritenuto di accogliere la richiesta di archiviazione formulata dal pm dr Antonino Di Matteo nel procedimento che mi ha visto indagato quasi ininterrottamente per otto anni anche se l’indagine era tecnicamente spirata nel novembre del 2007. Questi semplici ma inconfutabili dati – aggiunge Saverio Romano – dimostrano il corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni. Il fallimento del sistema giudiziario vive nella interminabile condizione che si riserva al cittadino Saverio Romano in un periodo di tempo che nella sua enorme dimensione rappresenta già una sanzione insopportabile anche se l’epilogo sarà quello da me auspicato. Del resto sarebbe di contro parimenti fallimentare un sistema della giustizia che ha lasciato operare per così tanto tempo un uomo politico che potrebbe aver commesso l’infamante reato di concorso con Cosa Nostra.
Purtroppo – conclude l’on. Romano – ormai da quasi 20 anni il nostro Paese assiste ad uno spettacolare conflitto che in questi ultimi mesi all’approssimarsi della riforma giudiziaria si è acuito. Sono addolorato e sconcertato; con questo provvedimento non viene chiesta solo la formulazione dell’imputazione per il sottoscritto ma vengono messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo. Difenderò in ogni sede il mio nome, per me, per i miei familiari e per la comunità politica che rappresento”.
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