di Carlo Majorana Gravina
Un giorno prima di compiere il suo 79° anno di vita, Plinio Maggi ci ha lasciati. Personaggio poliedrico, gentiluomo innamorato della vita, ha inseguito e realizzato, come voleva e sapeva, le sue passioni: musica, famiglia, amicizia, autovetture e auto inglesi d’epoca, mobili e suppellettili d’antiquariato, bridge.
Ci conoscevamo praticamente da sempre, da quando lui, un po’ più grande di me, veniva nelle tarde mattinate d’estate al Circolo Canottieri Jonica con la chitarra o arrivava “fuori orario” alle festicciole casalinghe di allora, affascinato dal rock americano e dal mitico Elvis Presley. Poi un amico comune e mia moglie, immensa gratitudine, lo hanno “istallato” significativamente nella mia vita.
Plinio aveva raccolto, con spirito un po’ guascone, la sfida lanciatagli durante una fiera dell’antiquariato: fare un’opera lirica tratta da “I Malavoglia” di Giovanni Verga. Con felice intuizione aveva enucleato, dalla poderosa saga dello scrittore verista, la vicenda dell’amore infelice tra la virtuosa Filomena (la Sant’Agata) e il carrettiere povero Alfio Motta, mettendo in risalto l’eros e thanatos contenuti, adatti per la proposta teatrale.
Segnalato dall’amico comune di cui sopra, Plinio mi chiese di dargli una mano per sistemare il libretto: una modalità di scrittura da me mai immaginata. Cercai di indirizzarlo ai professionisti del ramo, ma fui vinto dalla perentorietà sua “no, ci vuoi tu” e quella garbata di mia moglie “perché non ci provi?”. Scoprimmo poi, insieme, tante “affinità elettive” tra noi, inclusa la tesi di laurea di suo padre, relatore il mio.
La costruzione di “Mena”, questo il titolo dell’opera, con il valido contributo di Giovanni Ferrauto per l’orchestrazione, anch’esso “arruolato” da Plinio, è stata un’esperienza avvincente ed esaltante, ricca di episodi e diatribe strutturali, concettuali e intellettuali (ma di queste la storia della lirica trabocca) tendenti a combinare ottimizzandoli il verso con la frase musicale.
Plinio, nel panorama della musica italiana è stato molto di più: dalla sua iscrizione al festival di Castrocaro Terme del 1965, vinto con la canzone “Se le mie parole non bastano” conquistando il diritto a partecipare al Festival della Canzone Italiana” di Sanremo del ‘66, dove partecipa con “Io ti amo” eseguita in abbinata con Anna Marchetti, è stato un susseguirsi di vicende originali.
Partecipa al “Cantagiro” dello stesso anno con “I miei pensieri” e, l’anno successivo, a “Settevoci” con “La mano nella mano”. Come cantautore incide ancora “Sei sola”, “Una storia senza fine”, “Questa sera noi ci lasceremo”, “Quando tu partirai”, “I miei pensieri”, “Giri, giri, fai dieci”, “Che notte”, “È piccolo il cielo”, “Calda estate”.
Ha composto, poi eseguite da altri:“Un uomo va” (I Giganti), “Problema” (Leo Mauceri); “Chi come me”, “Amore in vendita”, “L’indifferenza” (Iva Zanicchi); “Così dolce, così cara” (Rossano); “Serenata d’amore” (Giuliano e i Notturni); “Pomeriggio di favola” (Domenico Modugno); “Camminando” (Fausto Leali); “Amare amore” (Fred Bongusto).
Nel 1970 è autore de “L’addio” portata al Festival di Sanremo da “Michele” e Lucia Rizzi; coautore, con Alberto Testa, di “Nun è straniero”, presentata da Angela Bini al Festival di Napoli 1971; ha scritto “L’inno del bridge”, che viene eseguito prima della cerimonia di chiusura di ogni campionato italiano.
In questi giorni è in uscita una nuova canzone, l’ultima, scritta ancora per la Zanicchi: a giugno, tornato da Roma per la messa a punto, era molto soddisfatto delle “dodici ore in sala registrazione”.
Plinio mancherà a molti, alla città, con il suo tratto gentile cordiale, le sue maniere un po’ datate, le vetture d’epoca portate in giro con ostentazione provocante, le memorie che recava della Tripoli pre-Geddafi e di un vissuto familiare intenso e fiabesco, la passione politica trasmessagli dal padre e le altre passioni.
Nella chiesa della Madonna di Ognina, la chiesa dove si celebra la ricorrenza da cui si snoda la vicenda dei Malavoglia e di “Mena”, una folla di amici si è stretta attorno alla moglie Piera, le figlie, i nipoti e tutti i familiari. C’era molta partecipazione sincera e sentita: salutavamo una persona unica e buona che aveva regalato a tutti momenti particolari che non rivivremo con nessun altro: Italia e Sicilia non possono dimenticare. Quando, al termine della cerimonia funebre è suonata la sua Ave Maria, il canto che le donne trezzote intonano per ottenere clemenza dagli elementi nella cui furia affonda la “Provvidenza”, Plinio ha raccolto ancora un applauso, non certo l’ultimo, per la sua musica, la sua vena melodica che risuoneranno nelle rassegne di canzoni e in “Mena”.
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