di iena antimafia
E’ affetto da favismo e così il Tribunale di sorveglianza de L’Aquila lo spedisce ai domiciliari, nella sua città, per un anno. La vicenda che vi stiamo per raccontare ha per protagonista il cuffariano Michele Aiello, uno dei big della sanità palermitana e siciliana, condannato a 15 anni e 6 mesi nell’ambito dello stesso processo che ha visto finire in carcere, a Rebibbia, l’ex governatore della Sicilia, Totò Cuffaro.
Il manager Michele Aiello è titolare di tre importantissime cliniche a Bagheria, confiscate insieme ad un patrimonio del valore di circa 800 milioni di euro. Per adesso, quindi, ha ottenuto il differimento della pena per un anno, più avanti chissà. Alla fine è stato condannato “soltanto” per mafia (ritenuto prestanome del super boss Bernardo Provenzano) nel processo denominato “Talpe alla direzione distrattuale antimafia”.
Secondo gli originalissimi giudici del Tribunale di Sorveglianza aquilano, presieduto dalla dottoressa Laura Longo: “Il vitto carcerario non ha consentito un’alimentazione adeguata del detenuto, risultando dal diario nutrizionale la presenza costante di alimenti potenzialmente scatenanti una crisi emolitica e assolutamente proibiti” che lo espongono “a serio e concreto rischio di vita o a irreversibile peggioramento delle già scadute condizioni fisiche”. I giudici per giungere a questa decisione si sono affidati a due periti, Brigida Galletti e Antonello Colangeli, per i quali la malattia di cui soffre Aiello sarebbe molto seria e grave.
Purtroppo, si evince ancora dal provvedimento, pare che il menu “passato dal governo” in cella è pressoché fisso e a base di legumi potenzialmente dannosi per il manager della sanità privata siciliana, costretto dunque a rinunciare al cibo e che in questo modo ha perso dieci chili. Ogni giorno, infatti, pare che, perlomeno nel carcere di Sulmona in cui si trovava Michele Aiello, si mangiano sempre le stesse cose: “Pasta e piselli -si legge nella motivazione del provvedimento del tribunale aquilano- riso e piselli, seppie e piselli, minestrone e fave”. E poiché il penitenziario sarebbe in grado di offrire solo questo, il detenuto sarebbe in pericolo di vita.
Domanda: pittosto che optare per i domiciliari, perché il Tribunale di sorveglianza de L’Aquila non ha valutato la possibilità di altre strutture carcerarie del Nord Italia con menu alternativi?
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