Indagine su immigrazione e comune di Catania: annullata ordinanza di custodia cautelare


Pubblicato il 19 Dicembre 2020

di iena giudiziaria marco benanti.

Il Tribunale del Riesame di Catania (Presidente Gabriella Larato) ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Rosalia Genuardi, responsabile dell’ufficio stranieri del comune di Catania, indagata nell’inchiesta che il 30 ottobre scorso è sfociata in dodici arresti (nove ai domiciliari e tre con obbligo di firma) avente al centro un presunto “comitato d’affari”, a carattere transnazionale, operativo nel settore della compra-vendita della cittadinanza italiana attraverso il sistema del “iure sanguinis” in favore di brasiliani, con la presunta compiacenza di impiegati infedeli del Comune di Catania.

La Genuardi, difesa dall’avvocato Gianluca Scardaci e accusata di associazione per delinquere, violazioni sul testo unico sull’immigrazione, in particolare in tema di immigrazione clandestina e per corruzione per atti contrari al proprio ufficio, è tornata in libertà.

L’indagine, condotta dalla squadra mobile di Catania, era nata da alcune anomalie segnalate dalla Divisione “Pasi” della Questura su varie istanze per il rilascio del passaporto italiano. Sotto osservazione naturalmente anche la procedura seguita per ottenere la cittadinanza, nell’ambito della quale un ruolo importante lo svolgono i vigili urbani nel controllo delle residenze. I giudici del Riesame, in riferimento a quanto sostenuto nel suo ricorso da parte dell’avvocato Scardaci, hanno ricordato che il legale “…contestava che la pubblica accusa, e conformemente il G.I.P., sarebbero incorsi in un duplice equivoco ossia: quello di ritenere che l’accertamento dei vigili urbani dipendesse dalla volontà della Genuardi, che invece si limitava a inoltrare le pratiche per il suo avvio secondo un numero progressivo di protocollo, nonché, quello di ritenere necessaria una presenza degli interessati da un minimo di 45 ad un massimo di 90 giorni per vedersi riconosciuta la residenza.

Al tal riguardo, obiettava come nessuna legge e nessun atto di normazione secondaria e amministrativo contemplassero la necessità di un termine minimo di dimora nel territorio italiano, al fine di conseguire dapprima la residenza e poi la cittadinanza….”

La Difesa dell’indagata, inoltre, aveva, inoltre, obiettato, pur riconoscendo che la locazione di un immobile, concessa in comodato d’uso alla figlia della Genuardi “…avrebbe potuto senz’altro costituire un conflitto d’interessi, ma non altrettanto certamente una condotta riconducibile all’art. 319 c.p (corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, ndr)…”, come, in riferimento alle indagini, “…niente di tutto ciò era stato verificato o era emerso e che, per quanto sostenuto dalla Genuardi, confortato dalle dichiarazioni della colleghe assunte in sede di indagini difensive, le pratiche dell’Abonizio (ritenuto dagli investigatgori “ideatore, promotore ed organizzatore dell’associazione criminale”) così come quelle di altri soggetti, venivano inviate, protocollate, con un numero progressivo alla polizia municipale, ogni due-tre giorni, tutte insieme, e senza alcuna priorità di esse rispetto alle altre…”

Il collegio del Riesame “…pur riconoscendo la fondatezza della tesi accusatoria in ordine alla sussistenza del solidazio delineato (associazione per delinquere, ndr)…ritiene che il compendio indiziario a carico della Genuardi, ancorchè costituito da elementi latamente indizianti, non sia tale da attingere la richiesta soglia dell’art. 273 cpp (cioè i gravi indizi di colpevolezza, ndr)”.

Non a caso, fra l’altro, è scritto nel provvedimento di annullamento che “…il Tribunale ritiene che, invece, non risulti dimostrata l’altra frazione di condotta che, secondo il costrutto accusatorio, vorrebbe tale suo vantaggio patrimoniale correlato ad indebite violazioni del proprio dovere di imparzialità mediante il riconoscimento di una corsia preferenziale, di una indebita priorità, alle procedure di riconoscimento della cittadinanza alle quali era interessato lo stesso coindagato (Abonizio)”. Certo, i giudiici non dimenticano di evidenziare la “irregolarità del suo contegno (della Genuardi, ndr) sotto il suo profilo del rispetto dei principi che regolano i doveri del pubblico impiegato, con particolare riguardo alla sua messa a disposizione dell’immobile di via Lucchese Palli n. 26, di sua proprietà, che locava per brevi periodi ai cittadini brasiliani assistiti dall’Abbonizio, nonostante la sua veste di responsabile dell’ufficio stranieri, si occupasse delle pratiche da questo patrocinate…”

Nello specifico, però, il Riesame rileva lacune nell’indagine, in particolare per la sua presunta “accelerazione” delle pratiche: non a caso, valida è l’obiezione difensiva “secondo la quale, per dimostrare tale preferenza ed anteposizione della trattazione, l’Ufficio Inquirente avrebbe dovuto operare una comparazione con le pratiche evidentemente pretermesse o posticipate, verifica che, alla luce degli atti di indagine, è parsa del tutto assente…”.

Insomma, tanto per cambiare, in attesa di verificare nei successivi passaggi la fondatezza dell’inchiesta, viene fuori per l’ennesima volta che a Catania mancano tante cose, non ultima capacità investigative adeguate.

 

 

 

 

 


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