di GianMaria Tesei
Tra i momenti più attesi della Festa del Cinema di Roma che in questo 2021, ancora segnato dalla pandemia, è giunta la sua sedicesima edizione ( dal 14 al 24 ottobre), è stato l’<<incontro Ravvicinato>>( che è una sezione della Festa) con uno dei miti assoluti del cinema mondiale, ossia Quentin Tarantino, strepitoso director che ha presentato, giorno 19, il suo sforzo letterario “C’era una volta a…Hollywood” , venendo celebrato dal premio alla carriera attribuitogli dalla stessa manifestazione e dal poster delle kermesse illuminato dal volto di Uma Thurman , sua iconica attrice ed ex-compagna, immortalata in un’istante del suo famoso “Kill Bill Vol.2”.
Ad introdurre il pluripremiato regista e sceneggiatore americano sono stati Antonio Monda (direttore artistico della manifestazione, nonché docente presso il “Film and Television Department” della New York University, autore di numerosi testi e collaboratore di varie note testate giornalistiche) e la giornalista Alessandra De Luca (quest’anno inoltre condirettrice artistica del Taormina Film Fest).
“C’era una volta a…Hollywood”, edito in Italia da”La nave di Teseo”, rappresenta una sorta di prolungamento per iscritto di quell’universo di umanità creato nella pellicola omonima da Tarantino. Film che ha vantato un grande successo planetario sia di pubblico che di critica , tanto da avere ottenuto due candidature ai Premi Oscar del 2020 per la miglior regia ed il miglior film, aggiungendo quindi ulteriori nominations alle tante già ottenute in vari festival cinematografici dal réalisateur americano nel corso della sua prestigiosa carriera, costellata da numerosi premi tra cui proprio due dell’ Academy of Motion Picture Arts and Sciences, ossia quelli per la Miglior sceneggiatura originale per “Pulp Fiction”( 1995) e per “Django Unchained”(2013).
Tarantino ha subito spiegato come mai abbia fatto quest’opera di espansione del mondo di un film, non attraverso un sequel cinematografico, ma attraverso un testo letterario, motivando la sua scelta con il suo percorso di conoscenza, negli anni ’70 ed ’80, di libri che trattavano film popolari (alcuni che non aveva mai visto,) rappresentando la sua prima esperienza di lettura di libri per adulti. Tre anni addietro ne ha riesumati alcuni, pensando che potesse essere carino creare un romanzo basato su una storia di criminali di basso livello. Ma il successo successivo di “C’era una volta a…Hollywood”, e la disponibilità di molto materiale (come scene non girate o non montate o le copiose ricerche fatte sui personaggi, non riversate per intero nel film), sono state le premesse per il romanzo, che è uno scritto che fa emergere le storie e le evoluzioni dei personaggi del film e che al contempo entra nel filone dei romanzi su Hollywood.
Sul lavoro del regista Tarantino ha affermato come conti non abbattersi quando si viene colpiti dalle critiche e comprendere che non sempre servono solo quelle positive portano. Dopo l’uscita di “Pulp fiction”, ha proseguito l’attore di Knoxville, parecchie sono state le recensioni positive su quella pellicola che però è stata al centro, anche per questo ottimo consenso avuto sin dalle sue prime visioni, nel corso degli anni, di un’analisi dura tesa a considerare questo film banalmente divertente e niente altro perché lontano dal politically correct che è andato pian piano insinuandosi nella cinematografia mondiale. Tanto le disamine positive che quelle negative hanno comunque reso quel film il fulcro di una dialettica che lo rendeva importante, divenendo quindi vitali ed importanti le critiche declinate in ogni sfumatura di valore valutativo, sia a favore che contro.
Specificando ulteriormente il suddetto concetto sul prodotto filmico che ha avuto un cast eccellente in John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Bruce Willis, Tim Roth (solo per citare alcuni), il metteur en scène del Tennessee ha aggiunto come “Pulp fiction”costituisse un simbolo della permissività degli anni ’90 a cui si contrappone una forma di oppressione attuale sempre più forte e radicata, sempre legata al politicamente corretto. Ma non solo.
Tarantino, che è proprietario di due sale cinematografiche, di cui una è la nota New Beverly Cinema di Los Angeles, proprio sulle riaperture dei cinema, ha asserito di avere riscontrato un’autentica “fame” di film da parte del pubblico. Fame da vivere nel suo luogo più adatto, ossia proprio le sale.
Discettando su un altro grande prodotto cinematografico di Tarantino, ossia “Bastardi senza gloria” ( con Brad Pitt, Cristophe Waltz, Michael Fassbender, Diane Kruger ed anti altri grandi interpreti), lo stesso regista ha dichiarato come soa avvenuta un atto di riscrittura del film in corso d’opera, poiché nello scrivere la sceneggiatura l’uccisione di Hitler è stata una soluzione perfetta alle dinamiche del film che ha reso il finale più coerente al suo stile e più piacevole anche per il suo pubblico.
Parlando della propria vita privata Tarantino ha confermato come l’aver avuto un figlio abbia cambiato le sue priorità e come lo abbia voluto a questa età perché non è nella fase iniziale o centrale della carriera (non disdegna comunque l’idea di realizzare altre pellicole, magari un altro “volume2 di “Kill Bill”) e può dedicargli maggiore attenzione rispetto a quanto avrebbe potuto fare in passato.
Per quanto attiene al suo processo creativo in campo cinematografico Tarantino ha sottolineato come la scrittura sia uno step fondamentale dal quale fa prender corpo al tutto senza però predeterminare totalmente gli sviluppi del film che sono legati al lavoro con e degli attori, la pre e post produzione ed altri elementi dell’attività filmica che concorrono a creare ulteriori elementi alla storia.
Tra i personaggi con cui parlerebbe maggiormente dei suoi film, il regista statunitense, cita Cliff di “C’era una volta a… Hollywood” e volendo Rick Dalton, il cui personaggio trova una più cospicua spiegazione, anche sulla carriera svolta, nel romanzo rispetto a quanto accada nel film.
Alla domanda se potesse uccidere ipoteticamente qualcuno, come accade nei suoi film, Tarantino ha infine confessato che pur non volendo ammazzare qualcuno, sceglierebbe che fosse giudicato con assoluta severità l’autore di “Nascita di una nazione” ( 1915), ossia David Wark Griffith, non solo per il razzismo di fondo del film ma anche perché la sua pellicola ha ispirato la seconda delle tre fasi del KuKlux Klan, il noto gruppo di sette segrete che si è macchiato, tra le varie nefandezze compiute, di vari omicidi di ebrei e neri e di politiche terroristiche agghiaccianti che tutt’ora purtroppo pervadono certe parti della nostra comunità e che si spera possano spegnersi per sempre.
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